IL MESTIERE DI TRADURRE – Intervista ad Andrea Di Gregorio

Con le parole, indubbiamente Andrea Di Gregorio ci sa fare. Filosofo di formazione (è laureato alla Normale), è scrittore, ideatore di una vivace scuola di scrittura (www.scuoladiscrittura.com) e da 20 anni è anche traduttore editoriale. Traduce dall’inglese e dal greco moderno, e ha lavorato per le maggiori case editrici italiane (Rizzoli, Bompiani, Mondadori, Adelphi, Sonzogno, Guanda, Crocetti. Feltrinelli), spaziando dalla saggistica alla narrativa, dalla storia alla psicologia, e persino alla manualistica semiseria sul sesso. Per Bompiani, ha tradotto la serie del commissario Kostas Charitos – una specie di Montalbano ateniese – di Petros Markaris (nella foto, lo scrittore, a sinistra, e Andrea Di Gregorio, all’edizione 2009 di Parolario).

Il greco moderno è una lingua di nicchia – è parlato da circa una quindicina di milioni di persone, niente a che vedere con i numeri del cinese o dello spagnolo – ma è una lingua ricca, che ha vissuto un’interessante evoluzione. Una sfida anche per un traduttore esperto.

1- Quali sono i requisiti fondamentali per essere un bravo traduttore letterario?

Oltre a una buona competenza sulla lingua-fonte, è necessaria una certa sensibilità per la lingua d’arrivo. L’obiettivo che ci si deve porre è un testo fluido, che non tradisca ovviamente le intenzioni dell’autore ma, allo stesso tempo, non crei problemi o perplessità al lettore. Inoltre, sarebbe ideale cercare di calare il testo nell’uso contemporaneo, scegliendo all’interno delle possibilità pressoché infinite di traduzione quella che meglio colloca il testo nel nostro tempo. Ovviamente, anche in questo caso, è importante una discussione preliminare con l’editore (ed eventualmente, quando è possibile, con l’autore), per comprendere le esigenze espressive e gli obiettivi che ci si pongono. Per esemplificare, rispetto ad Alice nel paese delle meraviglie, lo stesso traduttore può scegliere percorsi traduttivi molto diversi a seconda del pubblico a cui si rivolge (ragazzi oppure studiosi), del tipo di libro che è previsto (una strenna o un tascabile; con o senza testo a fronte) e, perché no?, del tipo di “gioco” che si vuole instaurare con il lettore: una traduzione molto moderna, che privilegi l’attualità del personaggio Alice, oppure una traduzione “anticata”, che cerchi di riprodurre lo stile (fintamente) sussiegoso della fine dell’Ottocento inglese.

2- Il greco moderno è una lingua europea, quindi strutturalmente più vicina all’italiano rispetto al cinese o all’hindi. Ma in Grecia fino al 1976 esistevano ufficialmente due lingue: una lingua parlata, la “dimotiki”, e una lingua ufficiale scritta, detta “katharevousa”. Come scrivono gli scrittori neoellenici oggi? Si sente, a tuo parere, uno stacco generazionale fra chi era abituato all’uso delle due lingue e i giovani scrittori di oggi?

Oggi la stragrande maggioranza degli scrittori ellenici scrive in neogreco (così si chiama oggi la dimotikì). Sono molto pochi quelli che scrivono in katharèvousa e solo per precisi fini espressivi. Il problema è che, purtroppo, con il predominio della dimotikì la katharèvousa non viene più insegnata nelle scuole e i giovani non solo non la sanno più parlare, ma non la comprendono neanche più. Il paradosso è quindi che alcuni grandi scrittori moderni come Alèxandros Papadiamàntis ed Emmanuìl Roìdis che hanno scritto in katharèvousa non sono più comprensibili alle nuove generazioni (entrambi gli autori sono tradotti in Italia: di Papadiamàntis, ad esempio, c’è il romanzo L’assassina pubblicato da Feltrinelli e di Roìdis è uscita ultimamente da Crocetti una nuova traduzione della Papessa Giovanna).

Il fatto è che la katharèvousa è stata interpretata come lingua artificiale, della burocrazia, della legge, della chiesa e delle scienze della natura – cosa che in parte è senz’altro vera, ma si è dimenticato che è stata anche lingua della letteratura e della poesia. E questo, naturalmente, complica le cose.

3- Quali sono le principali difficoltà nella traduzione dal greco moderno? Qual è stato – se c’è stato! – nel corso del tempo, un dilemma di traduzione con il quale ti sei scontrato? E come ne sei venuto fuori?

La difficoltà fondamentale, a mio modo di vedere, è che il neogreco è una lingua tendenzialmente molto più immediata dell’italiano. Ha una struttura sintattica più libera, una gestione dei verbi  legata più ad aspetti modali che temporali, una certa varietà nella flessione delle varie parti del discorso e una particolare creatività (nell’uso, ad esempio, dei prestiti dalle altre lingue, o nella creazione di parole nuove). Non dimentichiamo che si tratta di una lingua che viene parlata ininterrottamente da almeno cinquemila anni e che, nel tempo, si è modificata moltissimo. Eppure, chi ha fatto greco antico al Liceo si sarà ricordato di questi aspetti (sintassi libera, aspetto modale dei verbi, possibilità di creare parole per composizione), che sono strutturalmente gli stessi. Le difficoltà che si incontrano traducendo dal greco sono spesso legate a questi aspetti. In greco, ad esempio, si usa spesso darsi del “tu”, anche in situazioni in cui, in italiano, sarebbe fuori luogo. Quando si tratta di tradurre devi decidere come “adattare” il dialogo in modo che sia credibile per un italiano (che non darebbe facilmente del tu a un poliziotto che lo ferma per strada, diversamente da un greco), ma allo stesso tempo mantenendo quel “colore” linguistico che, a mio modo di vedere, sarebbe un peccato perdere.

4- Da anni sei il traduttore ufficiale dello scrittore Petros Markaris (se non ricordo male, vi siete visti più volte e c’è un rapporto personale, giusto?). Quanto conta la conoscenza personale con l’autore nell’approccio alla traduzione?

Non molto, credo. È vero che conosco bene Màrkaris e che siamo diventati ottimi amici, ma non credo che questo fatto abbia cambiato il mio modo di tradurlo. Certo, con il tempo, avendo tradotto tutti i suoi libri (tranne il primo), ho imparato a conoscerlo, a conoscere il suo modo di scrivere e di pensare. Ma questo è un risultato che avrei ottenuto anche se non l’avessi conosciuto di persona. Invece può essere importante avere un contatto con l’autore nel caso di problemi di traduzione: passi di difficile interpretazione o usi molto personali di termini o di costrutti possono essere chiariti, a volte, solo dalla viva voce dell’autore.

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