SULLA VIA DELLA SETA: quando eravamo noi a copiare i Cinesi…

Locandina della mostra in corso al Palazzo delle Esposizioni, Roma.

Visitare la mostra La Via della Seta al Palazzo delle Esposizioni a Roma (aperta fino al 10 marzo 2013) è un modo per liberarsi – se non l’avete ancora fatto! – di tanti pregiudizi eurocentrici. Dai tempi dei Romani, che si erano innamorati di quel luminoso panno indossato dai nemici Parti e da allora avevano fatto di tutto per acquistarlo, una rete di piste carovaniere ha collegato l’Europa alla porta dell’Impero di Mezzo, Xi’an.  Piste rese sicure e percorribili dalla Pax Mongolica del grande Gengis Khan.

L’attore giapponese Asano Tadanobu nel film Mongol, nei panni di Gengis Khan.

Ho visitato la mostra ieri e ci sono rimasta per tre ore. È ricca e non delude (come invece a volte succede da quando le grandi mostre si sono trasformate in macchine per soldi, sostenute da un marketing aggressivo).

L’integrazione dei curatori italiani (la mostra originale è stata ideata dall’American Museum of Natural History) mette in risalto testimonianze importanti che mostrano un legame antico fra l’Italia e l’Asia. Chi non conosce Marco Polo? Una mostra sulla Via della Seta non può non dedicare spazio al grande veneziano. Ma è interessante scoprire, per esempio, che a Zaitun (Quangzhou) nel Trecento c’era una comunità stabile di genovesi. E che a Yanzhou, nel 1342, muore la prima donna italiana che con certezza visse in Cina durante il Medioevo. Si chiamava Caterina De Ilionis, era figlia di un mercante genovese e non si sa se nacque in Cina o se ci andò, compiendo l’intero tragitto della Via della Seta, al seguito dei genitori. Di sicuro, i De Ilionis non stavano così male economicamente in Cina, se furono in grado di commissionare una pietra tombale per Caterina, che è giunta sino a noi.

In passato, erano stati gli Arabi a fare da tramite per i commerci. Ma con la pace duratura, per i commercianti italiani risultava molto più conveniente andare nel “Gattaio” (il Catai, ossia la Cina) personalmente. Tant’è che il mercante fiorentino Francesco Pegolotti, proprio negli anni in cui muore Caterina, scrisse un manuale per i mercanti che volevano andare in Cina, un mix di consigli di business e di suggerimenti da Lonely Planet.

La seta ebbe sicuramente un peso importante nei traffici commerciali: la Cina ne rimase fornitrice, finché i preziosi bachi non giunsero anche in Occidente.

Allevamento dei bachi in Italia – Fonte: www.parcosanrossore.org

La mostra La Via della Seta ci ricorda che dai Cinesi abbiamo importato anche ben altro. Abbiamo appreso tecnologie – per esempio, quella della creazione della carta (un centro fiorente fu Samarcanda, grazie ai prigionieri cinesi vinti in battaglia, che crearono nel VIII secolo d.C. la prima cartiera) – le spezie, i profumi, i pattern stilistici dei tessuti (draghi, uccelli, ecc.), la preziosa porcellana. C’è da sorridere di fronte ai tentativi maldestri d’imitazione delle porcellane cinesi… All’epoca, erano arabi e europei i “copioni” dei Cinesi.

Un grazie finale, da visitatrice della mostra, ai cammelli. Senza di loro, la Via della Seta, non sarebbe mai esistita. Con il loro aiuto, gli uomini hanno varcato deserti infuocati come il Taklimakan e trasportato con minore fatica le preziose merci del “Gattaio” (e con il tempo, i segreti per produrle da noi). Mi ricorderò di loro, ogni volta che indosso un morbido foulard…

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