Qualcuno oggi si è portato a casa il BEAU SANCY…

Il diamante Beau Sancy.

Chissà che effetto fa portarsi a casa un diamante che, oltre a essere di una bellezza strepitosa, è un testimone silenzioso della Storia… Qualcuno ci è riuscito oggi, a Ginevra, all’asta di Sotheby’s, sborsando 9,04 milioni di franchi svizzeri. Magari stasera, in una lussuosa villa sulle sponde del Lemano, con nonchalance porgerà alla moglie/amante/fidanzata un cofanetto che contiene un regalo degno di una regina: il Beau Sancy.

Lo so, ho visto troppi film. In realtà, facendo un gioco d’immaginazione, è più probabile che si tratti di un ricco collezionista, che a quest’ora avrà già depositato il Beau Sancy – il diamante rosato a forma di pera da 35 carati – al sicuro nel forziere della sua banca svizzera. E prima di farlo, immagino che l’avrà accarezzato per dieci, venti minuti, forse più, rigirando tra le mani il suo tesoro, aggiudicato dopo 8 minuti molto combattuti a un prezzo cinque volte quello di stima. Gusterà un piacere tattile pensando a Maria De Medici, regina di Francia, che nel 1610 lo indossò alla sua incoronazione. Oppure rievocando le famiglie reali che l’hanno posseduto, scorrendo la lista dei proprietari di questo diamante che, come un albero genealogico, conduce fino al mitico Nicolas de Harlay, Signore di Sancy (1546-1629), che per primo lo acquistò a Costantinopoli e lo vendette nel 1604 a Enrico IV.

Veniva da lontano, questa pietra meravigliosa. Dall’India, come il più celebre Koh-i-Noor, passato attraverso le mani di abili mercanti lungo la via della Seta e probabilmente cresciuto di valore a ogni cambio di proprietà. Profumava di incenso, di spezie e di fatica, quella dei minatori che strapparono alla roccia questo prodigio.

Diamanti come il Beau Sancy regalano l’ebbrezza del possesso, ma ricordano anche quanto effimero sia l’appetito umano per ottenerlo. Business is business, ma avrei gioito di più a vedere il Beau Sancy nelle vetrine di un museo prestigioso, per ricordare a qualsiasi visitatore la sua incredibile storia. Già, perché è una delle poche pietre al mondo di questo valore la cui “vita” sia ben nota, in tutti i suoi passaggi, e la sua avventura è un tuffo nella Storia.

Sarà felice, il nostro collezionista? Chissà. È l’atto dell’acquisto a scatenare la gratificazione, amplificata  – nel contesto di un’asta – dal piacere della sfida sostenuta e vinta. Ma quando le luci si spengono, la gioia del possesso scema… Come per qualsiasi acquisto. Mi piace pensare che un giorno il ricco collezionista si stufi di rimirarlo e lo ceda. E con il ricavato, magari, compia un gesto che gli assicuri una gioia più profonda e duratura.

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