TUNISIA: diritti delle donne, indietro tutta?

La Tunisia di Ben Alì aveva di sicuro tanti difetti. Il suo ritratto troneggiava per le strade, e già questo mi sembra sufficiente: diffidare, sempre diffidare, dei culti della personalità, di qualunque colore essi siano.

Tuttavia, dal punto di vista delle donne e dei loro diritti, il regime precedente era il più aperto e avanzato dell’area medio orientale. La primavera araba lasciava ben sperare, ma le elezioni con la vittoria di Ennahda – partito di ispirazione islamica – avevano fatto sorgere qualche dubbio, e ora i dubbi sembrano volersi concretizzare in reali passi indietro.

L’allarme è stato lanciato  da Amnesty International e dall’Associazione tunisina delle donne democratiche. Incriminato è l’art. 27 della nuova Costituzione, adottato la scorsa settimana dall’Assemblea nazionale costituente nella versione più sfavorevole alle donne.

Il testo, diffuso da una deputata tunisina e riportato da Il paese delle donne online, recita:

Lo Stato assicura la protezione dei diritti delle donne e delle loro conquiste, sotto il principio della complementarietà con l’uomo in seno alla famiglia e in quanto associata all’uomo nello sviluppo della patria.
Lo Stato garantisce l’eguaglianza delle opportunità per le donne in tutte le responsabilità.
Lo Stato garantisce la lotta contro qualsiasi tipo di violenza sulle donne.

La parola che non avrei voluto vedere è “complementarietà”, che va a sostituire “uguaglianza”.

Perché “complementari”? Le donne esisterebbero, dunque, solo come “complemento” dell’uomo?  Stando al testo letterale, questa complementarietà si realizzerebbe in seno alla famiglia. Quindi, se una donna lavora e non vuole sposarsi, che diritti avrà nella nuova Tunisia, sorta peraltro con il contributo alla lotta delle sue cittadine di sesso femminile?

Purtroppo, nel mondo musulmano non mancano gli esempi di islamizzazione della società di ispirazione conservatrice: ogni volta che avviene, le prime a rimetterci sono le donne e la loro libertà, in nome di una moralizzazione che, guarda caso, si può attuare solo con il gentilsesso confinato fra le mura di casa.

Spero davvero che l’eredità democratica lasciata dal presidente Bourghiba, creatore della Tunisia moderna, non venga tradita. Il rischio c’è, ed è quello di bollare come “occidentale” –  e dunque “cattiva”- la normativa precedente che regolava i rapporti fra uomini e donne e i rispettivi diritti, in modo democratico ed egalitario. E il fatto che Leila e Zine El -Abidine Ben Alì l’abbiano sostenuta, non la rende in alcun modo colpevole di quanto è avvenuto nel Paese. Al contrario, i tunisini dovrebbero ricordarsi che se il precedente capitolo politico si è chiuso, è anche grazie alle donne, che in questi anni hanno studiato, lavorato, e hanno osato esprimere il proprio pensiero. Da pari a pari, con i loro uomini. Perché c’era una legge che l’ha permesso.

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