CITY OF LIFE AND DEATH di Lu Chuan arriva in Giappone dopo due anni dall’uscita in Cina
Leggo sul Japan Times che da ieri a Tokyo è approdato al cinema il premiatissimo film di Lu Chuan “City of life and death” (titolo originale: “Nanjing! Nanjing!” – 2009), che il pubblico di Udine del Far East Film Festival 12 ha potuto vedere l’anno stesso dell’uscita, cioè due anni fa.
Dice il giornalista del Japan Times che il kolossal cinese in bianco e nero dedicato al massacro di Nanchino del 1937 – 300 mila morti civili cinesi trucidati dall’esercito imperiale giapponese – finora non aveva trovato un distributore. E pare che finalmente qualcuno si sia preso la briga di far riflettere il pubblico giapponese su una delle pagine più oscure mai scritte proprio nell’estate di Fukushima, che ha messo il Paese in ginocchio. Suona come un curioso contrappasso.
Ma ciò che è ancora più curioso, dietro a questa notizia, è che in fondo “City of life and death” di Lu Chuan è uno dei film più concilianti nel confronti dei giapponesi sul tema del massacro di Nanchino. Il regista cinese ha cercato di mostrare il massacro attraverso gli occhi di un ufficiale giapponese, Kadokawa (interpretato da Nakaizumi Hideo), per dimostrare che anche non tutti i nipponici erano spietati assassini privi di coscienza.
Un po’ come se un regista israeliano avesse voluto fare un film sui nazisti mostrando che qualcuno aveva anche un lato umano. Con questa premessa, mi ero immaginata che il film di Lu Chuan fosse distribuito in Giappone più rapidamente. Invece no: a riprova che i giapponesi faticano, e non poco, a fare i conti con il proprio passato, soprattutto in relazione ai loro misfatti commessi in giro per l’Asia durante la Seconda guerra mondiale.
In Cina nel 2009 il film di Lu Chuan è stato un blockbuster, che ha infiammato gli animi, suscitando plausi e critiche feroci. Queste ultime, proprio per il punto di vista eccessivamente morbido nei confronti dei giapponesi usato dal regista Lu Chuan. “City of life and death” è un film drammatico, attento all’introspezione dei personaggi e che non indulge mai al macabro. Lu Chuan si è documentato leggendo l’attenta ricostruzione della studiosa sino-americana Iris Chang (autrice di “Il massacro di Nanchino”). L’ho apprezzato molto: il suo sguardo dolente invita a ricordare ma senza odio. Perché questa è l’unica strada verso la conciliazione.
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