L’arte buddhista del GANDHARA: capolavori dai musei del Pakistan alla Asia Society di New York

Bodhisattva Maitreya in scisto grigio. Pakistan, III-IV sec. d.C. Foto: courtesy Asia Society

Fino al 30 ottobre prossimo, il museo della Asia Society di New York ospita la mostra “The Buddhist Heritage of Pakistan: Art of Gandhara”. Le opere, provenienti dai musei di Lahore e Karachi, testimoniano della fioritura del buddhismo nella regione del Gandhara, attualmente divisa fra Pakistan e Afghanistan, fra il II sec. a.C. e il X sec.d.C..

È la prima volta dal 1960 che i capolavori del Gandhara sbarcano negli Stati Uniti. Ma in Europa hanno da tempo ampia visibilità, grazie a mostre temporanee e alle sezioni dedicate dei musei. Una per tutti: la splendida collezione del Guimet, a Parigi. Ma anche la poco nota ma pregevole microsezione sul Gandhara del Museo Archeologico di Milano.

Ho una passione viscerale per l’arte del Gandhara. Forse perché il primo amore non si scorda mai: da studentessa del liceo classico, imbottita di nozioni sull’arte e la cultura greca, il Gandhara è stato il primo incontro con l’Asia e il buddhismo, mediato dall’arte. Una folgorazione: Occidente e Oriente non erano divisi da compartimenti stagni, ma mondi fluidi da sempre in contatto fra di loro, per commerci, guerre, immigrazione. Come quella degli artisti greci che al seguito di Alessandro hanno portato la statuaria greca nelle zone più remote dell’Afghanistan e del Pakistan. E quando si è trattato di dare un volto a Buddha, divinità giunta dall’India, sono nati i meravigliosi ibridi gandhariani. Un Buddha con forme e volto ellenico e abiti indiani. Il trionfo del melting pot ante litteram, grazie anche a quell’autostrada per carovane che fu la Via della Seta.

Grazie, Gandhara, per questo mirabile esempio di globalizzazione e di convivenza fra culture diverse. Sembra una beffa che proprio nella terra in cui si è sperimentata una così originale ibridizzazione culturale l’estremismo islamico abbia prodotto i talebani. Con la loro feroce violenza verso tutto ciò che è diverso. Basti pensare alla fine dei Buddha di Bamiyan.

La cultura ellenistica e romana, come il buddhismo, sono sempre stati recettivi verso stimoli culturali “alieni”. L’esatto contrario delle tre grandi religioni monoteiste mediterranee, che quando hanno inglobato elementi culturali estranei li hanno metabolizzati al punto da cancellarne le origini.

Spostandosi verso Oriente, il Buddha ellenico si è sempre più sinizzato. Più o meno, come le rappresentazioni di Cristo, in terra germanica e fiamminga, assunsero tratti sempre più nordici: occhi azzurri, capelli biondi, viso affilato. Sino a perdere il volto semitico filtrato con severità dagli iconografi bizantini.

L’arte del Gandhara – crocevia di genti e di culture, di guerrieri e viaggiatori – è un monito a ricordare che la diversità genera arricchimento. Un tema quanto mai di attualità.

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