SALEH BAKRI, il palestinese che piace agli israeliani (e alle israeliane)
Grazie al film Il Tempo che rimane di Elia Suleiman – presentato a Cannes 2010 e attualmente nelle sale – ho avuto occasione di rivedere in un ruolo di primo piano un giovane attore israelo-palestinese, Saleh Bakri.
Nel film, che è ispirato alla storia della famiglia del regista, originario di Nazareth, Bakri è Fuad Suleiman, il padre di Elia.
Il look da anni Cinquanta valorizza il suo volto dagli intensi occhi azzurri. La recitazione è scarna e essenziale, come richiesto dalla sceneggiatura, che vuole evidenziare lo sbando psicologico della popolazione palestinese dopo la naqba (la catastrofe, così i palestinesi definiscono la nascita dello Stato israeliano). Ripetitività dei gesti e delle parole, fissità degli sguardi: la gente non vive, sopravvive. E cerca fra le mura domestiche di conservare l’orgoglio della propria identità.
Trent’anni, figlio del regista e attore Mohammed Bakri, Saleh ha un indubbio fascino. Nel 2007, nel documentario televisivo The lost tomb of Jesus è stato scelto per interpretare Gesù. Ma la sua consacrazione a star giunge con La Banda di Eran Kolirin, dove è memorabile la scena in cui, nei panni di Khaled, spiega a un giovane israeliano ebreo imbranato cosa dire a una ragazza… ma in arabo!
L’interpretazione di Saleh Bakri ne La Banda non è passata inosservata: gli è valsa l’Ofir Prize (l’Oscar israeliano) come Miglior attore non protagonista.
Il teen magazine Moteh l’ha incoronato come l’uomo più sexy per il 2009, regalandogli una copertina (qui di lato) dove lo strillo portante in ebraico dice “Ya Habibi!” (“O tesoro!”, naturalmente in arabo – è un’espressione molto comune, anche fra amici).
Come non essere d’accordo?!
Ho visto ieri sera “Il tempo che ci rimane”… e sono completamente d’accordo!!! 😉