Cinema: la sindrome da REMAKE anche in Cina
Poche idee e poca voglia di prendersi il rischio di percorrere nuove strade. Così gli sceneggiatori scelgono la via del remake: si prende un film di successo e si rifà con il cast giusto.
A Hollywood è ormai un vizio. Il plot da remake non si individua solo fra i film del lontano passato, ma anche fra quelli di cinematografie minori (lontane dal pubblico anglosassone). Un esempio? “Non desiderare la donna d’altri” della danese premio Oscar Susanne Bier – produzione del 2004 – è diventato “Brothers” di Jim Sheridan nel 2009. A soli 5 anni di distanza… Almeno i Coen con “True Grit” hanno lasciato un intervallo di 42 anni dal film con John Wayne!
Anche gli sceneggiatori cinesi sembrano contagiati dallo stesso virus. Secondo China Daily, che cita come fonte l’amministrazione statale di radio, film e televisione, vari remake hanno ottenuto l’autorizzazione al ciak. Il re scimmia, una divinità tradizionale immortale, è veramente immortale sugli schermi: oltre al recente film “Il regno proibito” (2008) con Jet Li (nella foto), è comparso in varie serie tv e vari film, cinesi e hongkonghesi. E ora rischia di ritornare in un’ennesima produzione.
Malgrado il cinema cinese stia facendo girare fiumi di denaro, la creatività scarseggia. Oltre alle commedie, si punta su film di soggetto storico con personaggi eroici di sicuro gradimento al grande pubblico.
“I produttori ritengono che il successo di un film dipenda solo da una buona trama, quindi continuano a sfornare film simili”, ha commentato il prof. Ge Ying dell’università di Shanghai.
Film di denuncia o drammatici, a quanto pare, vengono lasciati ai festival internazionali (soprattutto occidentali), dove le pellicole più intellettuali mietono premi sicuri. Per fare soldi in Cina, invece, guerra e pathos – naturalmente ben confezionati – restano gli ingredienti più importanti. A costo di rimescolarli con scarsa fantasia.