ESPLORATORI PERDUTI: un libro di Stefano Mazzotti
Oltre a essere una cacciatrice di storie, sono anche una cacciatrice di libri. Mi piace girare nelle librerie, e scovare qualche reminder che mi interessa, e magari mi è sfuggito quando è uscito. È così che mi sono imbattuta in Esploratori perduti, un saggio di Stefano Mazzotti, curatore della sezione di Zoologia dei vertebrati al Museo civico di Storia Naturale di Ferrara (non so se lo sia ancora, sicuramente lo era all’uscita del libro, pubblicato da Codice Edizioni nel 2011.
I personaggi di cui parla Mazzotti sono per lo più meno noti degli esploratori anglosassoni o francesi, ma testimoniano dell’interesse che dalla seconda metà dell’Ottocento l’esplorazione scientifica inizia ad avere anche per quello che sarà il neonato Stato italiano. È l’età degli imperialismi e chi vuole procurarsi un “posto al sole” come le altre potenze coloniali hanno già fatto deve far precedere la conquista da un’esplorazione e da una conoscenza del territorio per muovere poi gli eserciti. Ecco perché gli avamposti commerciali e il lavoro degli esploratori sono strategici. Spirito d’avventura e sete di conoscenza animavano questi giovani che pensavano di rendere un servizio alla patria e alla scienza.
Numerosi sono i protagonisti di questa epopea raccontata in Esploratori Italiani. Ne citerò solo due. Il primo è il fiorentino Odoardo Beccari (1843-1920), botanico, che ebbe la fortuna di preparare una sua spedizione documentandosi presso il giardino di Kew, dove conosce anche Charles Darwin. Beccari vuole andare in Malesia: quale migliore occasione che andarci con James Brooke, il rajah di Sarawak, che incontra a Londra? Broke è uno dei personaggi che tutti abbiamo imparato a conoscere dal libro di Salgari. Era l’accerrimo nemico di Sandokan. Salgari non è mai stato in Malesia, com’è noto, ma sembra che abbia utilizzato i libri di Beccari per studiare i luoghi e poterli descrivere.
Un altro interessante personaggio è il parmigiano Vittorio Bottego (1860-1897), ufficiale ed esploratore del Corno d’Africa. La statua nella foto qui sopra si trova vicino alla stazione ferroviaria di Parma, che così ricorda un suo avventuroso concittadino. Bottego esplora la regione del Giuba e il percorso del fiume Omo, in Somalia, che all’epoca aveva ancora un bacino idrografico misterioso. Venne ucciso in un attacco delle truppe abissine. Il regime fascista fece di lui un eroe, “un fulgido esempio di conquistatore”, scrive Mazzotti. Le sue imprese furono raccontate a fumetti pubblicati dalla casa editrice Sonzogno a partire nel 1937.
Stefano Mazzotti è molto preciso nella descrizione delle collezioni di piante e animali che tutti questi esploratori italiani naturalisti riportarono a casa. Collezioni che contribuirono a creare musei di storia naturale e di antropologia, ed erbari. Confesso oggi fa un po’ inorridire l’idea di uno scienziato con la carabina, che spara ad animali rari, li fa trattare dal suo tassidermista di fiducia e li imbarca su una nave come trofei di guerra. Eppure, all’epoca questo era il modo per studiare e classificare la flora e la fauna di luoghi esotici e sconosciuti. Era un’impresa meritoria, anche se oggi a chi è appassionato di natura come me queste eroiche imprese fanno storcere il naso. Ma tant’è, la Storia della scienza è costellata di cadaveri. E gli esemplari raccolti spesso rimangono una testimonianza interessante di animali o piante talora estinti.