I DRUSI DI BELGRADO di Rabee Jaber

La mia famiglia è originaria della Macedonia, che durante l’Impero Ottomano è stata un autentico melting pot di genti: greci, slavi, turchi, albanesi, ebrei – solo per citare le etnie più note, ma potrei dilungarmi, volendo. Però anche l’attuale Libano, altra regione dell’Impero Ottomano, non scherzava. Dal punto di vista religioso anche ora è un universo variegato: ci sono musulmani sunniti e sciiti, cristiani maroniti e greco-ortodossi, ebrei, drusi. Questi ultimi sono al centro del romanzo dello scrittore libanese Rabee Jaber, che Crocetti Editore ha da poco pubblicato con la traduzione dall’arabo di Elisabetta Bartuli. Si intitola “I drusi di Belgrado” .

Di drusi sapevo ben poco, prima di leggere il romanzo di Rabee Jaber. Sapevo che erano libanesi e praticavano una versione un po’ diversa dell’Islam. Sono sciiti, come gli iraniani, ma rappresentano una corrente di derivazione ismailita, quelli dell’Aga Khan, per intenderci. Sono un mondo a sé. Per esempio, credono nella trasmigrazione delle anime – come i buddhisti – e sono per lo più monogami. Gente dura e bellicosa: nel 1860, in Libano, ci furono sanguinose lotte fra drusi e maroniti, che si conclusero con massacri di cristiani. Da questo dato storico parte lo scrittore Rabee Jaber (nella foto, qui sotto) per raccontarci una storia a dir poco affascinante.

Il protagonista del libro, un cristiano di nome Hanna Ya’qub, è il classico povero diavolo che si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato. Sta passando dal porto di Beirut per vendere le sue uova, con cui mantiene moglie e figlia, quando un gruppo di drusi leader della rivolta vengono imbarcati dagli ottomani a scontare la loro pena nel nord dell’Impero, in Serbia. Uno di loro è stato graziato, ma non si deve sapere. Per cui Hanna viene abbrancato dai militari e “persuaso” a fingersi il druso Suleiman Ghaffar ‘Izz al-Din, con la promessa di una ricompensa. Sarà fatto scendere dalla nave ad Acri e potrà tornare a casa nel giro di un paio di giorni. Ovviamente i due giorni diventeranno anni, in cui il malcapitato vagherà da prigioniero fra Montenegro, Serbia, Bulgaria, Bosnia Erzegovina, Kosovo… Conoscerà l’orrore delle galere turche e la lotta per non soccombere alla durezza dei lavori forzati. Ma da cristiano inizialmente considerato con disprezzo dai drusi del Monte Libano, Hanna finirà per diventare uno di loro, accettato nella loro piccola comunità e difeso. Li conoscerà da vicino e inizierà a capirli e apprezzarli. E così questa convivenza – non certo frutto di una scelta libera – finirà invece per creare delle relazioni umane. Perché si odia l’altro quando non lo si conosce, quando non si divide il pane insieme, quando non si lavora gomito a gomito.

Non faccio spoiler sul finale: se iniziate a leggere, ci arriverete spediti, perché questa è una storia che unisce umanità, sentimenti, avventura, scoperta… E si lascia leggere con piacere. Questo romanzo che gira intorno al tema dell’incomprensione fra le diverse religioni del Libano mi ha fatto venire in mente un’intervista a un tizio, italianissimo, che mi è capitato di sentire. «Non mi piacciono i neri», diceva. E i neri che lavorano con te in fabbrica? «Ma no, quelli non c’entrano, sono i miei compagni». Allo stesso modo, nel romanzo ” I drusi di Belgrado” il cristiano Hanna e i prigionieri drusi diventeranno compagni, complici, amici.

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