Le donne tunisine e la LIBERTA’

L’ondata di proteste che sta investendo  vari Paesi arabi ha avuto inizio in  Tunisia. E  fin dal primo momento, come  ai tempi della Rivoluzione khomeinista del 1979 in Iran, in piazza ci sono state anche le donne tunisine.

Ho visitato la Tunisia meno di un anno  fa. E uno dei leit motiv recitati dalle guide turistiche è quello dei diritti delle donne. È vero: grazie a Habib Bourghiba, la Tunisia vanta l’abolizione della poligamia fin dal 1956, anno in cui fu promulgato il Codice sullo status personale. Le donne tunisine lavorano, votano, possono abortire, divorziare, usare contraccettivi… E hanno accesso allo studio. L’emancipazione  femminile qui è una realtà concreta, insomma. Grazie a Bourghiba, ma anche a Ben Alì, che ha seguito la politica del suo predecessore in tema di diritti delle donne.

Detto ciò, una domanda: perché le tunisine sono scese in piazza, contro il governo che tutto sommato ha assicurato loro la possibilità di un riscatto, che in altri Paesi islamici non esiste?

Primo, proprio perché questi decenni, dal dopoguerra a oggi, hanno fatto assaporare loro la libertà di usare la propria testa, di studiare e di capire. E non hanno avuto remore a esprimere il loro dissenso.

Una seconda argomentazione l’ho letta in un servizio di un inviato che ha parlato con la gente, per le strade di Tunisi. Le donne tunisine non si sentivano “legate” al governo di Ben Alì, che ha giocato la carta dello stato “femminista” e laico solo per farsi bello nell’arena internazionale, proponendosi come baluardo al dilagare dell’estremismo islamico. Anche questa è una chiave di lettura interessante.

Più in generale, capire cosa pensano veramente le donne arabe è una sfida non facile. Per motivi linguistici e barriere culturali. E perché noi occidentali siamo sempre tentati di applicare i nostri schemi e le nostre categorie di pensiero a realtà profondamente diverse dalla nostra. Se l’argomento vi affascina, segnalo un libro fondamentale: Le donne di Allah di Anna Vanzan edito da Bruno Mondadori (su Elle.it  c’è una breve intervista, che verte soprattutto sull’Iran, del quale Vanzan è grande conoscitrice) .

Il saggio dell’iranologa è frutto di una ricerca sul campo e del confronto diretto con donne musulmane non solo iraniane, ma anche turche, malesi, bosniache, indonesiane. Non sono femministe nel senso occidentale del termine, ma rivendicano la loro identità di donne fedeli al Corano e impegnate per l’emancipazione femminile. E proprio nel testo sacro dell’Islam trovano il fondamento per le loro rivendicazioni. È una piacevole scoperta comprendere, grazie a questo saggio, come si può scegliere il velo e nel contempo essere agguerrite sostenitrici dei diritti delle donne. Alla faccia di tutti gli stereotipi.

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