TIMBUKTU di Aberrahmane Sissako

locandina

Finalmente è arrivato anche in Italia, il film di Abderrahmane Sissako, che ha entusiasmato giuria e pubblico lo scorso anno a Cannes. Ho visto Timbuktu oggi, e non ha deluso le mie aspettative.

Mentre l’Is ci minaccia, la Libia è in preda alla violenza e alle divisioni e la guerra in Siria non sembra vedere la parola fine, questo film ci racconta di un anno horribilis per il Mali, il 2012, quando la jihad islamica ha spadroneggiato mettendo a rischio una cultura millenaria e un Paese in prevalenza islamico, ma abituato a una convivenza serena con le sue tradizioni. Oggi Timbuktu e il resto del Paese si sono liberati dell’incubo integralista. E Sissako giunge a raccontarci, con un tempismo perfetto, cosa significa diventare preda degli islamici più retrivi.

timbuktu 2Innanzitutto, il regista evita volutamente di mostrarci scene di pura violenza. La violenza c’è, viene dichiarata, e questo basta. L’unica eccezione è la lapidazione di una coppia, che viene seppellita nella sabbia fino alla testa e poi uccisa con il lancio di sassi. Sissako non punta su eventi escatanti, che hanno avuto per scenario la capitale. Sceglie un paesino, che resta senza nome per tutto il film, una piccola comunità qualsiasi che si ritrova da un giorno all’altro a fare i conti con la polizia islamica, che pretende in nome della sharia di entrare nelle case della gente e di dettare legge, con i suoi assurdi precetti. Cantare, giocare a calcio, suonare uno strumento musicale, fumare diventano d’improvviso reati puniti con la fustigazione.

Vana è la battaglia dell’imam locale, peraltro arabo, quindi vicino culturalmente ai guerrieri di Allah che sono calati dal nord Africa. L’uomo tenta invano di difendere la sua jihad, fatta di preghiere  e di rispetto del prossimo: gli ottusi invasori si rifiutano di capire e sono convinti che Allah sia dalla loro parte. Come tutti i fanatici, non conoscono il dubbio, ma hanno solo certezze. Sono certi di essere nel giusto anche quando, sfidando le tradizioni locali, rapiscono una ragazza per darla in sposa a un loro commilitone che se ne è invaghito.

samira

In questo scenario, il cuore della storia è la lite che nasce fra un pastore tuareg e un pescatore maliano nero. Fin dalle prime scene, lo spettatore simpatizza con la famiglia nomade, composta da un giovane uomo, dalla moglie Samira e dalla figlia dodicenne Toya. La loro è un’immagine da “Mulino Bianco” in salsa islamica: sono belli, religiosi ma non fanatici, e si amano con dolcezza. La bambina adora il papà, che pende dalle labbra della moglie, una donna forte e orgogliosa. Una situazione troppo idilliaca per non essere travolta dalla furia integralista, che porterà a un tragico epilogo.

Sissako ci mostra con orgoglio la resistenza pacifica dei tuareg e dei maliani, che non vogliono piegarsi a un Islam che non condividono e che non fa parte della loro cultura. E ci aiuta a ricordare che in Mali è esistito e continua a esistere un Islam che è foriero di pace e rispetto, che ha da sempre promosso i valori della cultura, al punto da salvare – nelle sue preziose biblioteche – libri arabi medievali che nella terra d’origine sono andati persi. Merito delle ricche famiglie di mercanti, che da secoli usano con orgoglio il loro denaro per preservare il sapere. Gente che anche nel terribile anno dell’invasione islamista ha lottato, a rischio della vita, per salvare i preziosi volumi dalla furia distruttrice dei fanatici. Chapeau.

One Reply to “TIMBUKTU di Aberrahmane Sissako”

  1. Concordo, è un film imperdibile e di grande attualitá, seppur girato quando ancora l’ondata integralista sembrava non toccare i nostri interessi o meritare la nostra attenzione così da vicino. I suoi protagonisti si ritrovano tutti nelle inchieste pubblicate in questi giorni dai maggiori quotidiani: piccole comunitá islamiche che resistono come possono, senza aiuti, ragazze strappate alle loro vite, al servizio di sporchi assassini che professano la violenza e non l’Islam, secoli di civiltá cancellati, la miseria d’animo dei guerrieri venuti da fuori… Sono i tasselli di un racconto che oggi tocca tutti. Oltre a informarci su un fatto storico specifico, il film sensibilizza sul tema universale delle libertá violate in nome della religione, perché riesce a comunicare attraverso la forza delle emozioni. Durante la visione, il vortice distruttivo della nuova sharia irrompe come un fulmine inaspettato anche nelle nostre vite da mulino bianco. Nulla dopo il suo passaggio sará più come prima per i protagonisti del film, eppure nei loro occhi non si legge mai rassegnazione! Chapeau!

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