Boom di aborti e pochi bambini a TAIWAN
Vagabondando sul web ieri, sulle pagine dell’Asia Sentinel un articolo mi ha colpita. A Taiwan nel 2010 sono nati solo 166mila bambini e il numero annuo degli aborti, secondo il docente universitario Lue Hung-chi, oscilla fra i 300 e 500mila.
La notizia colpisce per due motivi. Primo: stiamo parlando di un Paese dove la popolazione è quasi per la totalità cinese e di cultura cinese. Tutto può cambiare in Cina, ma un punto fermo è il valore dato alla famiglia e l’importanza attribuita a una discendenza. Confucio docet, e il valore del nucleo familiare come pilastro sociale ha attraversato indenne le tempeste politiche del XX secolo. Come si spiega che il numero medio di bambini per donna a Taiwan sia sceso sotto 1 (precisamente: 0,91)? Persino in Italia, dove di bambini se ne fanno pochi, siamo a 1,41 (dato 2010 – fonte: Istat)!
Un’interessante ipotesi fatta dall’articolo di Asia Sentinel è che nel 2010 molti taiwanesi abbiano rinunciato a mettere al mondo un discendente perché era l’anno della Tigre… E i bambini nati in questo anno sono collerici e irascibili.
A quanto pare, secondo l’analisi di Asia Sentinel, i motivi sono molteplici. La liberalizzazione dell’uso della pillola abortiva RU-486 ha incrementato il numero degli aborti fra le adolescenti e le donne non sposate. In secondo luogo, il sistema sanitario nazionale offre poco aiuto alle famiglie: nel 30% delle città taiwanesi non ci sarebbero pediatri. Terzo, gli aborti si legherebbero anche allo scarso sviluppo della pratica delle adozioni.
C’è, poi, un’altra causa che lega Taiwan al resto della Cina e ad altri Paesi asiatici, come l’India: il ricorso all’aborto selettivo. Ossia al genocidio delle bambine. Su questo tema, segnalo, l’interessante libro di Xinran, di cui ho scritto brevemente sul sito di Elle, che tratta di questa piaga nella Cina continentale. A Taiwan, più prospera e più all’avanguardia, non pensavo che esistesse questo genere di problema. E invece c’è: nel 2010, per ogni bambina nata c’erano 1,09 maschi. Il che vuol dire che alla lunga questa pratica può portare a uno squilibrio demografico fra i sessi e a conseguenti tensioni sociali.
Resta il fatto che a Taiwan come altrove un figlio è un investimento importante: crescerlo e finanziargli gli studi è un impegno gravoso per la famiglia. Se una volta un figlio serviva per assicurarsi un sostegno durante la vecchiaia, oggi lo è sempre di meno. Persino nella Cina continentale, dove vige la politica del figlio unico, la prole è sempre meno propensa ad accollarsi l’accudimento dei genitori anziani, sempre più longevi. Al punto che alcuni mesi fa si era addirittura parlato di una legge che obbligasse i figli a occuparsi dei genitori e ad andare a trovarli. In Cina le case di riposo sono ancora relativamente poche e spesso gli anziani muoiono soli negli appartamenti.
Guanyin, la benevola dea buddhista della compassione, avrà meno fedeli, quindi. Sicuramente i taiwanesi continueranno a rivolgersi a lei per avere fortuna e prosperità. Ma immagino che il numero delle aspiranti madri alla ricerca di un figlio, da sempre sue devote in Asia orientale, sia drasticamente diminuito.