C’è Kannon sul portafogli! Borse del periodo Edo da GENTEN a Firenze
Per lavoro, ho avuto l’opportunità di partecipare all’inaugurazione del primo flagship store del marchio giapponese Genten in Italia. L’azienda nipponica produce borse, in cuoio e in pellami di altissima qualità.
Per celebrare l’apertura, Genten ha presentato una piccola mostra di borse giapponesi del periodo Edo (o Tokugawa, 1603-1868). Borse? L’appassionata di storia e cultura giapponese che c’è in me è rimasta perplessa. Nelle mie frequentazioni museali varie, ho visto manufatti in lacca, in tessuto, in legno e furoshiki utilizzati dai viaggiatori più poveri… Ma di borse in pelle non avevo mai sentito parlare!
Armata di tutta la curiosità del caso, presso lo store Genten ho avuto una parziale conferma di quanto pensavo e qualche sorpresa. I giapponesi durante lo shogunato non usavano valigie, borse e contenitori in pelle. Prevalevano il tessuto e la lacca, su oggetti per lo più di piccola dimensione, a giudicare da quanto esposto: per riporre il tabacco, per esempio.
Ma nel XIX secolo, e anche qualche decennio prima, il contatto con l’Europa avvicinò i giapponesi alla pelle, portandoli ad apprezzare forme pregiate, come il kin kara kawa, pelle ricoperta da una sottile foglia in oro e poi impermeabilizzata, oppure pelle lavorata con grande maestria e dipinta, come questa borsina delle dimensioni di un portafogli raffigurante Kannon.
«In realtà, in Giappone non esisteva la tradizione di lavorare la pelle bovina, perché le carni non venivano consumate», ha spiegato il sign. Nakamura, esperto di questi preziosi oggetti e collezionista (ringrazio la collega Midori per la traduzione!). «L’alimentazione tradizionale prevedeva soprattutto proteine vegetali e pesce. I bovini non venivano macellati, ma utilizzati nei campi come aiuto dei contadini. La pelle che veniva lavorata, e di rado, in questo periodo era di cervo».
Forse per influsso del buddhismo, alla carcassa animale era associata l’idea di impurità. Per cui chi se ne occupava, i burakumin, erano comunque individui ostracizzati e relegati ai margini della società giapponese.
In un contesto simile, l’interesse per la lavorazione della pelle non poteva che giungere dall’esterno. L’Europa, con le sue tappezzerie in pelle lavorata, a detta di Nakamura san, ha generato la curiosità e ha fornito nel contempo la materia prima semilavorata per iniziare a creare degli oggetti preziosi in pelle in terra nipponica.
Con la fine dello shogunato, sempre secondo Nakamura san, molti artigiani che producevano le tsuba per le spade dei samurai si sono ritrovati disoccupati. Alcuni di loro si sono riciclati nella lavorazione dei pellami di alta qualità: oggetti quali le borsine esposte da Genten potevano richiedere un anno di lavoro ed erano certamente destinati a un mercato elitario. Le fibbie in metallo (vedi la foto sotto) riproducenti stemmi di famiglia o elementi ornamentali erano autentiche opere d’arte.
Questi piccoli capolavori hanno avuto la funzione di apripista. Il resto l’hanno fatto il commodoro Perry e l’apertura forzata dell’Impero del Sol Levante all’Occidente, con l’arrivo dei gaijin e dei loro usi e costumi. Valige e borse incluse.