IL LABIRINTO DEL SILENZIO: 4 motivi per vederlo
- Il film di Giulio Ricciarelli Il labirinto del silenzio affronta i crimini della Shoah con un punto di vista nuovo e inedito. I gerarchi del regime hitleriano furono giudicati e condannati a Norimberga. Ma a gestire la macchina della morte di Auschwitz non c’erano loro: i carnefici furono gente comune, che poi si trincerò dietro la scusa di aver eseguito gli ordini. A guerra finita, queste persone cercarono di dimenticare e di tornare a vivere come se niente fosse accaduto. Il labirinto del silenzio racconta cosa è successo in Germania nel 1958, quando per la prima volta un gruppo di pubblici ministeri decise di processare alcuni di questi carnefici in nome del Reich, scoperchiando il vaso di Pandora.
- Un elemento chiave ne Il labirinto del silenzio riguarda il rapporto di Johann Radmann (Alexander Fehling), il pubblico ministero protagonista del film, con la figura paterna. Colpevole o innocente? Pochi in Germania ai tempi del nazismo riuscirono a non restarne invischiati senza dover fuggire all’estero o finire in un campo di prigionia… Come vissero quei giovani la relazione con i padri? È una domanda interessante, che il film si pone.
- È da vedere perché Il labirinto del silenzio riesce a essere un film sulla Storia senza mai diventare didascalico e noioso. L’atmosfera degli anni Cinquanta è resa con grande maestria: un intero Paese è impegnato nella ricostruzione e nel processo di oblio, voluto dal cancelliere Adenauer, che voleva chiudere con il passato e voltare pagina. Ma la memoria è un dovere, se si vuole che il passato non si ripeta.
- Il personaggio di Radmann, che in realtà è la somma di tre figure storiche, è molto ben costruito. È un giovane alle prime armi nel lavoro, e come tutti i ventenni è estremamente rigido: il mondo è bianco, o nero. I grigi non sono contemplati. Si è colpevoli o innocenti. Ma l’indagine che svolge è un processo di crescita, un percorso formativo per lui: condannare può essere giusto, ma doloroso.