LA STRADA BIANCA di Edmund de Waal
La strada bianca di Edmund de Waal è un libro strano. Lo prendi in mano e ti viene voglia di leggerlo: perché narra di un’ossessione, quella del suo autore, per la porcellana. Non è un caso: de Waal è un ceramista-vasaio, prestato alla scrittura. Con successo: avevo letto il suo libro precedente, Un’eredità di avorio e ambra, e mi era piaciuto moltissimo. Geniale raccontare la storia della propria famiglia partendo da una collezione di netsuke di uno zio bizzarro.
Ne La strada bianca, de Waal resta nel solco dell’autobiografia, ma correlata a se stesso e alla passione di una vita, quella per l’arte del tornio, iniziata da adolescente e proseguita per una vita. Al punto che oggi de Waal è un rinomato artista britannico, e le sue creazioni sono oggetto di mostre e installazioni.
Se c’è un popolo che ha nel suo dna l’affabulazione è quello ebraico. La mia è un’affermazione “positivamente razzista” (e anche con una punta di invidia, lo ammetto!). Gli ebrei sanno raccontare e incantare con le parole: una delle più spettacolari narrazioni della storia umana, non a caso, è la Bibbia. Detto ciò, Edmund de Waal scrive da dio. Stavolta lo fa con una sorta di road movie book, un libro che racconta i suoi viaggio verso i tre luoghi iconici della porcellana: Jingdezhen in Cina, Dresda in Germania e Tregonning Hill in Cornovaglia. Strada facendo, l’orizzonte si amplia. Come in una caccia al tesoro molto elitaria, l’autore prende un volo per gli Stati Uniti e rende visita al monte Ayoree, il sito della porcellana degli indiani Cherokee. Ma a dirla tutta è già stato a Venezia, a caccia di un vaso portato da Marco Polo e a Dublino, per vedere un altro vaso celebre, il Fonthill. E passerà anche da Monaco, perché i prigionieri di Dachau lavorarono alla porcellana dei nazisti, quella prodotta dall’azienda Allach.
A dirla tutta, ad attrarmi verso questo libro è stata l’idea di leggere dei luoghi dove la porcellana è nata, in Cina, in cui da millenni continua a essere prodotta. Il fascino di un segreto: la formula della porcellana rimase un arcano finché non si riuscì, con sforzi immensi, a riprodurla nel castello di Albrechtsburg, gettando le basi per la più celebre fabbrica di porcellana d’Europa, Meissen.
E da Meissen, attraverso le maestranze, si propagò in tutta Europa: Venezia – dove nel 1765 Geminiano Cozzi iniziò a produrre usando caolino non più importato ma di Tretto, vicino a Schio – Vienna, Limoges…
Edmund de Waal ci conduce in 400 pagine in questo viaggio, che è spazio temporale ma è anche un viaggio dell’anima, perché è filtrato attraverso le sue emozioni, il suo vissuto di artista vasaio, la sua relazione personale con la porcellana… A tratti è appassionante, a volte un po’ prolisso, forse per via di una smania eccessiva dell’autore di comunicare tutto lo scibile da lui scoperto sull’argomento. Sì, perché de Waal è un archivista meticoloso, uno di quelli che viaggiano in compagnia di Lonely Planet un po’ particolari: tomi d’epoca compilati da padri gesuiti o da personaggi settecenteschi perfettamente in linea con la sua ricerca, ma un po’ ostici da seguire. Sono indulgente: si sente fremere nello scritto la passione per la porcellana e chiunque è ossessionato da qualcosa, si sa, a volte può perdersi in mille dettagli.
Sono grata a de Waal per avermi fatto scoprire la passione dei gerarchi nazisti per la porcellana bianca, di cui non sapevo nulla. Ecco, la porcellana fu anche un veicolo di propaganda politica, un risvolto davvero insolito (sopra due statuette di epoca nazista, di Allach, raffigurano due giovani della Hitlerjugend). Non c’è da stupirsi: i cinesi fecero le spillette di Mao in porcellana durante la Rivoluzione Culturale. A conferma che, in ogni luogo e in tempo, questo materiale – plasmato grazie all’inventiva e alla perizia umana – non è mai stato da meno di un metallo prezioso. Non ne siete convinti? Prendete in mano una tazza da the di porcellana bianca, saggiate la sua meravigliosa leggerezza e il suo nitore, e vi verrà voglia di sbarazzarvi di tutti i mug di ceramica!