2013: che sia l’anno del cambiamento per le donne in INDIA
Avrei voluto aprire l’anno nuovo con un argomento più piacevole. Ma sono parecchi giorni che questa vicenda mi rattrista (e mi indigna). Insieme a tutte le morte ammazzate (oltre 120, credo) dei femminicidi di casa nostra. Mi riferisco alla studentessa universitaria indiana, stuprata a New Delhi su un autobus nel pomeriggio, mentre rientrava dal cinema insieme a un amico. Stuprata da cinque passeggeri dell’autobus, più l’autista. E ridotta in fin di vita, tant’è che malgrado gli sforzi, tre operazioni, il tentativo di intervento in extremis in un ospedale specializzato a Singapore, la ragazza è morta.
Morta per stupro nel Paese dove la leader del maggior partito politico – è presidente dell’Indian National Congress – è una donna, Sonia Gandhi; dove la dinastia familiare più potente ha avuto come capofila Indira Gandhi, un’altra donna, suocera di Sonia e primo capo di governo donna di un Paese così grande e popoloso, nel 1966; dove fino al luglio scorso la presidenza della Repubblica era guidata da una donna, Pratibha Patil (e noi qui in Italia una donna presidente non l’abbiamo ancora vista); dove il primo ministro del West Bengala – uno stato di 91 milioni di abitanti – è una donna, Mamata Banerjee. E dove migliaia di donne sono imprenditrici, manager, medici, personaggi di spicco nel mondo della cultura.
Malgrado ciò, secondo l’ultimo rapporto di Trust Law, l’India è il peggior posto al mondo dove nascere donna, un enorme Paese dove la metà della sua popolazione – quella maschile – ha il vizio di discriminare, vessare, picchiare, violentare e uccidere l’altra metà, quella femminile. In India una femmina rischia la pelle fin dai primi mesi da feto, nella pancia della sua mamma, a partire da quando un’ecografia mostra ai genitori che non si tratta del sospirato maschio, ma di un’inutile femmina, che sarà una bocca da sfamare e poi da cedere a un’altra famiglia, e che graverà così sul budget familiare, senza apportare alcun beneficio.
Appena supera 7 / 8 anni, una bambina si tramuta in una potenziale vittima. Si va dal matrimonio infantile allo stupro per strada, o ai maltrattamenti domestici. La provenienza da una famiglia ricca può mettere al riparo da uno stupro come quello subito dalla studentessa sull’autobus, ma non da eventuali violenze maschili fra le mura di casa.
La ragazza 17enne morta suicida qualche giorno fa dopo uno stupro subito a novembre, nel nord dell’India, aveva provato a opporsi, denunciando i suoi violentatori. Ma era stata addirittura la polizia a suggerirle di accettare un risarcimento in denaro e chiudere la vicenda. Per due casi di cui si parla sui media, migliaia di altri – anche in questo momento, mentre state leggendo – restano confinati nel silenzio e nella vergogna delle vittime, spesso giudicate colpevoli per la violenza subita. Perché hanno osato camminare per strada, parlare, respirare. Esistere, sì, colpevoli di esistere, e con la loro esistenza di mettere in agitazione il testosterone dei poveri maschi, incapaci di tenere a freno i loro instinti più bassi (vi ricorda qualcuno? A me sì, e non è indiano…).
Dopo le mobilitazioni nei giorni scorsi, forse l’India avrà una nuova legge più severa sugli stupri. Ma basterà? Inutile la pena di morte: spingerebbe gli stupratori a eliminare ogni vittima, dopo averne abusato. Serve un cambiamento radicale di mentalità – come servirebbe peraltro anche dalle nostre parti. Serve inculcare una cultura del rispetto, a cominciare dalle forze di polizia, dalle scuole, dalle famiglie (dove i bambini crescono vedendo madri e sorelle maltrattate, e abituandosi considerare tutto questo la normalità). Serve una pena certa per gli stupratori, non l’impunità attuale che porta a pensare di poter compiere qualsiasi atto di violenza mettendoci una pietra sopra, in cambio di qualche rupia… Una pena certa e severa, comminata ed eseguita non da personale maschile connivente, perché partecipe della stessa mentalità che porta alla violenza (e incline all’indulgenza). Così si favorisce il perpetrarsi di una società sessista e violenta, in cui il più debole soggiace al più forte.
Alla povera vittima, se credeva nel ciclo delle rinascite, auguro di venire al mondo di nuovo in Svizzera, il miglior Paese in cui nascere nel 2013. O in Australia, Norvegia, Svezia, Danimarca (che seguono, in questa classifica). Sarà ben più noioso che in India, ma sono luoghi infinitamente più tranquilli e rispettosi delle donne.
Quanto all’India, spero che non perda questa occasione per avviare un autentico processo di cambiamento. Adesso, a cominciare da gennaio 2013. Le donne indiane se lo meritano.