BAGUETTES CHINOISES di Xinran: le donne della nuova Cina
“Baguette” – oltre che filoncino di pane – in francese significa anche “bacchetta” o “bastoncino”. I “bastoncini, nella Cina tradizionale, erano le figlie femmine, contrapposte alle “travi”, i figli maschi. Questi ultimi erano in grado di reggere le sorti della casa e della famiglia, mentre i bastoncini erano un peso inutile. Bocche da sfamare e da crescere, per poi cederle in spose a un’altra famiglia.
Il concetto non suona così nuovo: in buona parte del Terzo Mondo, nascere femmina è una disgrazia, per la diretta interessata e per i genitori. Per la madre in particolare: il cocktail esplosivo di povertà estrema e ignoranza ovviamente esclude la conoscenza delle leggi della biologia e la genitrice è ovunque colpevolizzata per aver messo al mondo un neonato del sesso sbagliato.
La giornalista cinese Xinran, che vive in Inghilterra dal 1997, tra la fine degli ’80 e gli anni ’90 ha condotto una trasmissione radiofonica serale a Nanchino, dedicata alle donne e alle loro esperienze di vita.
Erano i primi anni del grande cambiamento: dopo Tien An Men, la Cina si stava aprendo sempre di più all’economia di mercato, nuovi spazi erano riservati all’iniziativa privata e i contadini più poveri incominciavano a inseguire il miraggio di una nuova vita nelle città, che crescevano a ritmi vertiginosi.
Xinran prende spunto dalle vite reali di tre donne che ha conosciuto per imbastire il romanzo Baguettes chinoises (Picquier, 2008) specchio dei cambiamenti sociali di quegli anni. La Cina non ha mai smesso da allora la sua corsa verso un crescente benessere. Ma la storia di queste tre donne – in realtà, estranee ma nella fiction divenute sorelle – è emblematica dei primi passi verso una qualità di vita più elevata.
Tre, Cinque e Sei sono figlie di una sfortunatissima coppia contadina che non è mai riuscita a mettere al mondo l’agognato maschio, ma ha solo prodotto sei neonate, in barba alla politica del figlio unico, in quegli anni poco rispettata nelle campagne. Sei bastoncini che non meritavano neppure un nome, ma che vengono battezzate semplicemente con un numero, quello del loro ordine d’arrivo in famiglia.
Con sei femmine a carico, il padre si ritiene l’uomo più sfortunato del villaggio, disprezzato dalla collettività per l’assenza di un erede. Il maschio, per tradizione, non solo resta in casa ed è il sostegno dei genitori anziani, ma è anche delegato al culto degli antenati, secondo la visione confuciana.
Tre di queste sei figlie riusciranno a fare fortuna, mostrando al genitore cosa sono in grado di fare le donne nella nuova Cina. La prima a spostarsi in città è Tre, seguita poi da Cinque e Sei. Le tre contadine, dapprima impacciate, si trasformeranno in lavoratrici abili e disinvolte, ambientandosi perfettamente nella metropoli. E dimostreranno che i bastoncini possono essere meglio delle travi, arrivando a guadagnare molto di più del vecchio padre contadino, che dovrà ricredersi.
Le storie sono gustose e sono anche uno spaccato del mondo professionale in cui le tre giovani donne finiscono (una casa da the letteraria, un ristorante e uno stabilimento termale curativo). Ciascuna di loro metterà a frutto la sua creatività e le sue inclinazioni.
Insomma, un messaggio di speranza, per dimenticare per un attimo le neonate ancora affogate o soppresse alla nascita in Cina, tema di cui Xinran si è occupata nel saggio Le figlie perdute della Cina (Longanesi), che ho recensito sul sito di Elle.
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