Quando l’INDIA sarà un Paese per donne?
Mi sono lasciata distrarre un attimo dagli ultimi femminicidi italiani et voilà, leggendo la stampa straniera, scopro oggi quanto è accaduto in India, la scorsa settimana.
Una giovane fotogiornalista 23enne, impegnata con un un collega maschio a riprendere una zona di Mumbai che sta diventando trendy per la presenza di nuovi locali e uffici, è stata assalita da un gruppo di cinque uomini. Il collega è stato immobilizzato e lei violentata. Il copione del branco è sempre uguale, ovunque.
Ma come, l’aria non doveva cambiare in India dopo l’omicidio della studentessa violentata in autobus a New Delhi, nel dicembre scorso? Si è parlato di inasprimento delle leggi, di pena di morte, di repressione della violenza maschile, così radicata da sembrare inestirpabile nella società indiana.
Niente da fare. La mentalità della gente non cambia al volo con una nuova legge. È la testa dei maschi indiani che va cambiata e il processo è lungo. Inizia fra le mura di casa. in famiglia, dove le neonate sono affogate e le mogli sono picchiate, e continua a scuola, dove l’educazione di genere – che manca, guarda caso, anche da noi – dovrebbe diventare normalità.
Sul sito della Cnn, Ruchira Gupta – presidente della Apne Aap Women Worldwide, associazione che lotta contro il traffico sessuale di donne – rievoca un episodio, di cui lei stessa fu protagonista, nel 1992. All’epoca aveva 29 anni e fu inviata come reporter a seguire la demolizione di una moschea. Fu attaccata da un gruppo di uomini, che tentarono di violentarla e ucciderla, ma fu miracolosamente salvata da un passante.
«In tribunale, quando fui chiamata a testimoniare, le domande degli avvocati sottointendevano che ero colpevole di quanto accaduto», scrive Gupta. «Com’era possibile che una ragazza di buona famiglia fosse andata a seguire una demolizione? Credevo in Dio? Che abiti indossavo?».
La solita vecchia storia: lei se l’è cercata. E i poveri uomini del branco, con tutto quel testosterone nelle vene, non hanno saputo resistere.
Negli ultimi 60 anni, racconta Gupta, le violenze sulle donne in India sono cresciute del 873%. Ogni giorno, tre donne Dalit (la casta più bassa e più povera) sono violentate. La percentuale di condanna dei loro violentatori è pari a zero.
«La violenza che ho subito non è la fine della mia vita», ha dichiarato la fotogiornalista, che fortunatamente sta bene. «Ma esigo la più severa punizione per i miei assalitori e voglio tornare al mio lavoro». Una punizione esemplare, sì, ma soprattutto una strategia per estirpare, con calma e con tenacia, la mentalità maschilista imperante. Senza questo, l’India continuerà a non essere un Paese per donne.