Val di Fex: gli scalpellini della VAL MALENCO
Ci sono delle storie che ti restano in testa, dopo averle ascoltate, e che non se ne vanno. L’anno scorso, ho scritto un pezzo per il mensile Amica, dedicato a Sils Maria, in Engadina. Mi ha fatto da guida per raccontare questo luogo di vacanza un albergatore ed ex campione di sci: Dumeng Giovanoli. È stato proprio lui a narrarmi le vicende degli scalpellini della Val Malenco, di cui non sapevo nulla. Dumeng è anche un’appassionata guida culturale del museo di Cheva Plattas da Fex, a loro dedicato. Nel mio articolo, di taglio turistico, purtroppo non c’era spazio per questa vicenda di confine e di sapore storico, che mi ha colpita.
Nel secolo scorso, la Val Malenco era un luogo povero, all’estremo confine della Lombardia. Gli uomini lavoravano come mastri giovellai, o “giovellais”: sapevano estrarre la pietra e lavorarla. Nella Val di Fex, esisteva una pietra chiamata Fexer, che si riusciva a tagliare in lastre sottili, che erano perfette per coprire i tetti.
I “malenc”, abili artigiani e bisognosi di lavoro, verso novembre varcavano le montagne e dal passo di Tremoggio giungevano in Val di Fex, dove c’erano le cave di questa preziosa pietra. La tagliavano fino al mese di marzo, perché questo lavoro andava eseguito quando il sasso era gelato. Per loro era stato allestito un rifugio spartano, dove vivevano in questi mesi, oggi diventato un museo. Era un’attività invernale, che consentiva di guadagnare un po’ di denaro, prima di tornare in Italia a primavera. Immaginatevi la fatica di questi uomini di montagna, costretti a lavorare a temperature che potevano scendere fino a -25 gradi, privi dell’attrezzatura tecnica che esiste oggi per proteggersi dal freddo. Lontani dalle loro case, dalle famiglie e costretti ad alimentarsi come potevano, per resistere al gelo e alla fatica.
Gli svizzeri della Val di Fex , come mi ha raccontato Giovanoli, erano “bregagliott”, gente della Val Bregaglia che si era trasferita nell’Alta Engadina per gli alpeggi. Gente di montagna, come i “malenc”, e di lingua italiana (o meglio, immagino di dialetto italico), anche se gli uni avevano passaporto elvetico e gli altri italiano. «Il confine era solo sulle carte geografiche», mi ha raccontato Giovanoli. «Le famiglie si conoscevano». E intorno agli anni Quaranta, fioriva anche il contrabbando: attraverso il Passo Muretto, si veniva in Svizzera in Val di Fex e si tornava in Valtellina per portare sale, tabacco, caffè. Ovviamente i contrabbandieri viaggiavano di notte, per non farsi prendere. Giovanoli ricorda che a fine anni Cinquanta, c’erano ancora due guardie svizzere a occuparsi di contrabbando.
Per saperne di più: https://www.plattas-da-fex.ch. Le foto di questo articolo provengono da questo sito e dal sito di Sankt Moritz.
Più ti leggo e più imparo…grazie per queste storie che – come perle rare -raccogli e condividi, Maria!
Grazie
Grazie a te, cara Flora, del tuo apprezzamento!