COW: il punto di vista della mucca
Il docufilm “Cow” di Andrea Arnold (disponibile su MUBI) mi ha spiazzata. Mi aspettavo un racconto sulla vita delle mucche in un allevamento. E sapevo che non sarebbe stato qualcosa di idilliaco: gli animalisti ogni giorno ci raccontano come stanno male gli animali negli allevamenti intensivi. Ma non mi aspettavo una narrazione tutta dal punto di vista della mucca. Perché è questo che fa la regista: ci racconta la vita della bovina n.29 attraverso i suoi occhi.
“Cow” è ambientato in Inghilterra. La frisona n.29 partorisce un vitellino: è una madre contenta, che si prende cura del cucciolo. Poi il piccolo viene allontanato. Gli allevatori fanno il loro lavoro di routine – non possono certo commuoversi per ogni animale, altrimenti dovrebbero fare un altro mestiere – senza particolare cattiveria. Ma la crudeltà è nell’atto: la mucca cerca disperata il suo piccolo, muggisce, finché si rassegna. Sembra quasi di leggere la tristezza nel suo sguardo. Sia chiaro, non c’è l’interno di antropomorfizzare l’animale: semplicemente, anche la mucca ha dei sentimenti. La sua vita al chiuso riprende e dopo la monta del toro rimane di nuovo incinta. Sono le leggi dell’allevamento: una mucca è una macchina da latte…
Se provate un briciolo di empatia per gli animali, “Cow” vi farà stare male. Perché non racconta cosa fanno i “cattivi” allevatori – e si sa, i cattivi sono crudeli – ma ci parla di un allevamento normale, “mucca-friendly”, perché la vita estiva all’aperto è meravigliosa. Eppure n.29 è un animale triste, sfruttato come uno schiavo finché serve. La domanda sorge spontanea: si potrebbe fare meglio? (e questo vale per galline, suini, ecc.). Evidentemente le logiche del profitto non lo consentono. Un allevatore “gentile” con poche mucche deve comunque fare scelte “crudeli”, altrimenti non campa. Ecco, dopo aver visto questo docufilm quasi quasi mi viene voglia di essere vegana. Chapeau ad Andrea Arnold per le emozioni e le riflessioni che “Cow” riesce a indurre.