LA MEZZALUNA E LA SVASTICA: Hitler e il Gran Muftì
Che ci fa Adolf Hitler con un notabile musulmano? Ma il Fuehrer non era antisemita? Tempo fa, mi sono imbattuta in un libro sulla cui copertina campeggia questa foto. Il grande cattivo del Novecento (fosse stato l’unico!) l’ho riconosciuto subito… Ma l’altro tizio chi era? Così ho acquistato il libro La mezzaluna e la svastica di David G. Dalin e John F. Rothmann, per scoprire un aspetto della storia nazista che non conoscevo.
In tempi di Stato Islamico e di jihad in casa nostra, questo La mezzaluna e la svastica si è rivelato una lettura di sorprendente attualità. Perché alla base del pensiero dei jihadisti attuali, c’è sicuramente un’ispirazione proveniente da Haj Amin al Husseini (1895-1974), Gran Muftì di Gerusalemme, importante carica islamica (Gerusalemme è la terza città santa per l’Islam dopo la Mecca e Medina: dal sito della moschea Cupola della Roccia il profeta Muhammad sarebbe asceso al Cielo – e anche qualcun altro, guarda caso, in una grande religione monoteista precedente, è asceso al Cielo proprio da quelle parti… nella città santa di una terza e più antica religione monoteista!).
Haj Amin al Husseini aveva ricevuto questa importante carica non tanto per la sua bravura: non aveva mai completato gli studi islamici all’università di Al Azhar al Cairo, per cui non poté mai fregiarsi del titolo di shaykh, ma fu “haj” , il titolo onorifico che riceve chiunque abbia fatto il pellegrinaggio alla Mecca. Amin al Husseini era figlio d’arte: prima di lui suo nonno e sua padre erano stati Gran Muftì, e il suo cognome era quello di un’importante famiglia palestinese. Amin aveva un aspetto fisico singolare: piccoletto di statura, aveva occhi azzurri, capelli e pelle chiari, diverso dallo stereotipo che abbiamo dell’arabo. Guardate questa foto…. Non vi ricorda qualcuno?
Mi sono scervellata un po’ e alla fine ci sono arrivata: Ryan Gosling!
La mia trovata non era poi così originale: prima di me, ci era arrivato qualcun altro, come testimonia un articolo sull’Huffington Post, che riprende una bufala apparsa su un giornale marocchino, secondo la quale Ryan sarebbe niente meno che il nipote di Haj Amin al Husseini!
Tornando ad Amin Al Husseini, malgrado l’aria mite, fu un violento aizzatore alla guerra santa, un oppositore strenuo della presenza ebraica in Palestina (osteggiava anche l’ipotesi della creazione di due stati) e l’istigatore di varie intifada (ribellioni). Amin odiava gli ebrei tanto quanto gli inglesi, e questo lo avvicinò in modo naturale al Terzo Reich: le sue prime mosse, nel 1933, subito dopo l’ascesa al potere di Hitler erano state di avvicinare il console tedesco a Gerusalemme, offrendo la sua collaborazione. Tramò per cacciare gli inglesi dall’Iraq, con un golpe che portò al potere l’avvocato al Gaylani, di simpatie filotedesche. Il Gran Muftì sperava che Hitler con Rommel conquistasse tutto il mEdio Oriente e facesse piazza pulita degli ebrei e degli inglesi. Ma il suo piano fallì, e fu costretto a rifugiarsi in Iran, da dove partì alla volta dell’Italia. Il 27 ottobre 1941 incontrò Mussolini, che accolse con tutti gli onori. Il 6 novembre 1941 giunse a Berlino: un altro trionfo. Rimase a Berlino per quattro anni. Il celebre incontro con Adolf Hitler, nella foto sopra, avvenne il 28 novembre 1941.
La comunanza di vedute con il Terzo Reich fu totale: alla radio nazista, il Muftì proseguì a tenere i suoi sermoni antisemiti e in Bosnia organizzò un reparto di Waffen SS islamiche per sterminare gli ebrei locali. Gli autori del libro, Dalin e Rothmann, ipotizzano addirittura un’influenza di Amin Al Husseini sulla conferenza di Wannsee (1941) in cui fu decisa la soluzione finale.
Da testimonianze rese al processo di Norimberga, il Gran Muftì avrebbe visitato anche le camere a gas, con grande compiacimento, in compagnia del suo amico Eichmann. Ma quanto è davvero agghiacciante è che un personaggio simile, che non solo ha istigato alla violenza ma ha fattivamente operato per l’eliminazione di 12600 ebrei bosniaci, per motivi politico-strategici non abbia mai pagato il conto con la giustizia. Non fu incriminato a Norimberga, ma scappò in Svizzera, poi in Germania e da lì in Egitto. Nella sua Palestina non fece mai ritorno, ma visse fino alla fine dei suoi giorni in Libano, a Beirut, continuando a esercitare la sua influenza sui movimenti per la liberazione della Palestina. Il creatore di Hamas, lo sceicco Yasin, fu un suo ammiratore, mentre un suo cugino, Yasser Arafat, guidò nel dopoguerra l’Olp.
I due autori, docenti universitari americani coon origini ebraiche (così mi sembra di capire), demonizzano in toto la figura di Haj Amin al Husseini. Certo, in nessuna parte del libro è ricordato che la terra palestinese è stata sottratta dai coloni ebrei, cacciando i palestinesi dalle loro case e dai loro campi. Il punto è che Haj Amin al Husseini, scegliendo la via della violenza e propugnando lo sterminio degli ebrei tanto quanto i suoi amici nazisti, è passato dalla parte del torto. Torto marcio. Delle jihad, delle istigazioni alla guerra totale contro l’Occidente – che tanto piacevano al Gran Muftì – l’Isis ne è erede. Il risultato, cui assistiamo ormai ogni giorno, in Europa o in Medio Oriente, è disumano e folle.
Un’ultima curiosità. L’antisemita Hitler, forse affascinato dal biondo Muftì, non considerava gli arabi semiti. Peccato – e nessuno lo ricorda abbastanza – che ebrei e palestinesi parlano lingue con radici spesso simili, entrambe consonantiche, e che provengono originariamente dalle stesse terre… È lecito azzardare una parentela?