LA BAMBINA NELLA FOTOGRAFIA di Denise Chong
Ho trovato il libro di Denise Chong, La bambina nella fotografia (Codice Edizioni, 2004) in una libreria, fra i reminder. La foto di copertina, probabilmente, dice ben poco alle generazioni più giovani, ma per chi come me associa la guerra del Vietnam agli anni d’infanzia, è un ricordo indelebile. Il conflitto è riassunto in quella foto, insieme a quella – altrettanto celebre – di un uomo che spara alla testa a un altro uomo. Non leggevo i giornali ai tempi di quella guerra, ma queste due fotografie me le ricordo benissimo. Ricordo anche di essermi chiesta perché quella bambina scappasse, tutta nuda, sotto le bombe. “Forse faceva il bagno e non ha avuto il tempo di rivestirsi”, ho pensato allora. A sette anni non sapevo bene dove era il Vietnam, e quell’immagine sembrava venire da un altro pianeta. Tanto meno sapevo cos’era il World Press Photo, il premio di fotografia più prestigioso, che quella foto vinse nel 1972.
Phan Thi Kim Phuc – questo è il suo nome completo – l’8 giugno 1972 aveva 9 anni e scappava da un bombardamento al napalm. Fuoco amico: gli aerei sudvietnamiti per colpire i vietcong avevano distrutto case e ucciso la popolazione civile a Trang Bang, dove viveva Kim Phuc. I vestiti della bambina erano coperti di napalm e lei se li era strappati via, ma la sua schiena, che nella foto di Nick Ut non si vede, era in fiamme. È un miracolo che sia rimasta viva: i fotografi che hanno assistito alla scena si sono attivati per procurarle cure mediche. In un Vietnam del sud devastato dalla guerra, la fortuna di Kim Phuc è stata quella di finire al Centro nazionale per la plastica e la chirurgia ricostruttiva, più noto come unità Barsky, creato dagli americani, dove le hanno salvato la vita. Fin qui, un episodio di una sporca guerra, simile a tante altre, in cui si ammazzano vecchi, donne e bambini.
Ma il bello di questo libro di Denise Chong è che ci svela cosa è successo dopo. Chi era Kim Phuc? Com’era la sua famiglia? Quanto ha sofferto per le ferite lasciare dalle ustioni? La giornalista canadese ricostruisce la biografia di questa bambina dal destino paradossale. Pur essendo originaria del sud del Paese – una grave pecca agli occhi dei comunisti di Hanoi, poi vittoriosi – Kim Phuc è diventata un simbolo nazionale, l’incarnazione degli orrori della guerra voluta dai capitalisti cattivi di Saigon e dagli imperialisti americani. Essere un personaggio pubblico ha sconvolto per sempre la vita di Kim Phuc. Da una parte, le ha assicurato un’esistenza più agevole, sussidi statali, viaggi all’estero e conoscenze importanti, in un periodo in cui in Vietnam si faceva la fame e i boat people rischiavano la pelle nell’oceano pur di andarsene. Dall’altra, l’ha resa una prigioniera dell’apparato, tenuta costantemente sotto sorveglianza e costretta a recitare la parte della “vittima di guerra” di fronte alle continue richieste di giornalisti di tutto il mondo. La notorietà, però, le ha consentito un futuro migliore, come si scopre leggendo questo saggio biografico che è appassionante come un romanzo e che ha il merito di consentire un “ripasso” ben contestualizzato degli eventi storici, collegandoli alla vicenda della bambina Kim Phuc.
Oggi Kim Phuc vive in Canada, ma come ci racconta Denise Chong ci è arrivata fuggendo da Cuba, dove studiava all’università. Ha sposato un vietnamita come lei, ha due figli ed è una cristiana fervente. Ha creato una fondazione a favore dei bambini vittime di guerra e si è vista attribuire varie lauree honoris causa per il suo impegno umanitario. Per tutta la vita mai si scrollerà di dosso quella notorietà involontaria che la fotografia le ha attribuito. Il suo urlo di dolore silenzioso, nell’immagine in bianco e nero, è diventato l’icona della sofferenza di tutti i bambini del mondo nelle guerre che ancora, numerose, devastano l’esistenza di tanti esseri umani.