L’UOMO CHE SCHIOCCAVA LE DITA di Fariba Hachtroudi
Questo libro – L’uomo che schioccava le dita di Fariba Hachtroudi – non è una novità fresca di stampa. È un romanzo uscito in Francia e poi in Italia lo scorso anno. L’autrice ha vinto nel 2001 il Gran premio dei diritti dell’uomo con un altro libro (Iran, les rives du sang). Ho acquistato L’uomo che schioccava le dita qualche mese fa e da allora attendeva di essere letto. Chissà perché, ieri sera è scattato il momento propizio. E nella sfinente calura milanese, l’ho divorato d’un fiato.
Cosa racconta? Due voci parlano in prima persona. Il primo è il colonnello Ala, uomo dell’entourage del “Condottiero Supremo” della “Repubblica teologica”, un luogo che non è difficile identificare con l’Iran, che è anche terra d’origine della famiglia della scrittrice. L’altra è quella di una giovane donna, Vima, fuggita all’estero dopo essere stata rapita e torturata nel carcere di Devine dove finiscono gli oppositori del regime. Il nome di fantasia richiama volutamente, immagino, un luogo reale: la famigerata prigione di Evin. Ala e Vima sono vittima e carnefice: lui complice dei suoi sadici torturatori, lei vittima diventata famosa con un numero, 455, per essere riuscita a tacere malgrado le peggiori sevizie subite. Lo scenario è quello di un imprecisato Paese nordico (Svezia? Norvegia?) dove Vima, che collabora con l’Ufficio per i rifugiati come interprete, un giorno si ritrova davanti il colonnello, l’uomo che schioccava le dita, e lo riconosce.
Fin qui, una trama che può sembrare quasi scontata: il rapporto vittima-carnefice, topos psicologico fertile, facile da ritrovare in tante guerre e rapimenti, ed elemento ispiratore di racconti e memoir (uno per tutti: l’interessante narrazione autobiografica Prigioniera di Teheran di Marina Nemat – Cairo Editore, 2007 – in cui l’autrice, prigioniera a Evin, è salvata dal suo carceriere e si ritrova costretta a sposarlo). La bravura della Hachtroudi sta nel prendere questo spunto e condurre la narrazione verso un altro orizzonte, dove il protagonista è l’amore, per il proprio compagno/a di vita. Benché persone diversissime, Ala e Vima sono più simili di quanto credano, accomunati in una fede quasi mistica nell’amore. Vima vi trova la forza per resistere alle torture, Ala per sopravvivere. Fino all’epilogo, che non è tutto rose e fiori, perché la vita non è un romanzo rosa.
L’autrice – donna di grande bellezza (come si può vedere da questa foto) – è davvero una scrittrice sopraffina, che sa catturare il lettore e trascinarlo fra i gorghi di una storia drammatica con lievità. Archeologa e giornalista, Fariba Hachtroudi discende da una famiglia di intellettuali iraniani: suo padre noto matematico, suo nonno un leader religioso e un parlamentare, a suo tempo difensore della laicità e della tolleranza.