NON LASCIARMI – Atmosfera british e spirito giapponese

Non mi va di essere esterofila a ogni costo, ma questa volta ci sta: la locandina italiana di “Non lasciarmi” di Mark Romanek è proprio bruttina e non genera curiosità su questo film, che invece merita attenzione. Molto più aderente alle atmosfere cupe e oniriche del film la versione inglese (nell’immagine sopra).

Tratto dal romanzo “Never let me go” (2005) di Kazuo Ishiguro, il film potrebbe essere definito di fantascienza per il tema che tratta (cloni umani creati in un periodo tra gli anni ’70 e ’90 che servono come fonte di organi per i trapianti), ma in realtà non ha niente a che vedere con le atmosfere hollywoodiane in stile “The Island” di Michael Bay.

Ho visto il film poche ore fa, in compagnia di un’amica che ha vissuto in Giappone. Entrambe, da appassionate del Paese del Sol Levante e della sua gente, ci siamo trovate totalmente d’accordo su un punto: lo spirito di questa storia non è inglese. E’ assolutamente giapponese, malgrado Ishiguro sia forse il più british degli autori nipponici contemporanei.

Non fatevi trarre in inganno dalla perfezione delle scenografie, dalle location naturalmente britanniche e dall’ottimo cast di giovani attori inglesi. Ishiguro, che scrive in inglese, ci offre un ottimo esempio, in un contesto fantascientifico, dello spirito di abnegazione giapponese. Quello stesso spirito che – con sobria dignità e senza eroismi – porta in questi giorni al sacrificio estremo gli operatori e i tecnici al lavoro presso la centrale di Fukushima.

I giovani cloni del film scoprono di essere stati creati per diventare donatori di organi e dunque essere uccisi. Il sistema li controlla, ma le maglie non sono così ferree. Sono loro stessi ad aderire al programma che è stato predisposto per loro, come un destino ineluttabile. Potrebbero fuggire, ma non lo fanno.

Il sacrificio ha un suo valore, sembrano dirci. E loro sono stati educati a obbedire, ad accettare il loro karma senza ribellarsi. Influsso buddhista? Può darsi, ma in parte minima, penso. Questo è proprio lo spirito di abnegazione tipicamente giapponese, quella capacità di anteporre il gruppo alla propria individualità, quel dare un senso alla propria vita solo in quadro più ampio delineato dalla collettività alla quale si appartiene.

Ecco perché i cloni che hanno i volti occidentali di Keira Knightley, Carey Mulligan e Andrew Garfield non si ribellano. Ci scappa qualche lacrima, ma non ci sono fughe, inseguimenti, lotte per salvarsi. Non c’è uno Spartaco che fomenti la rivolta. L’ingiustizia non si combatte, ma si accetta con malinconica passività. La morte può essere persino bella, sembra ricordarci Ishiguro, quando segue le sue regole estetiche, quando il morituro è serenamente accompagato da un assistente, destinato a sua volta, prima o poi, allo stesso destino. Non c’è niente di british in tutto ciò.

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