L’ARMONIA DELLE TENEBRE: quando i nazisti perseguitarono i musicisti
A Bayreuth, nel giardino esterno della Festspielhaus – il celebre teatro wagneriano – c’è una mostra intitolata “Verstummte Stimmen”, “voci silenziate”, letteralmente. Sono una serie di pannelli con dei volti e delle storie (esposti fino alla fine del 2013, l’anno delle celebrazioni wagneriane). Musicisti, direttori d’orchestra, cantanti lirici, coreografi, che hanno interpretato la bellezza della musica tedesca e con l’avvento del nazismo sono stati messi a tacere, perché di origine ebraica, o perché tedeschi che hanno osato difendere i loro colleghi ebrei, o criticare apertamente il regime.
È un capitolo decisamente meno noto della Shoah, quello della persecuzione dei musicisti, ma è decisamente interessante perché testimonia la volontà del nazismo di cancellare ogni contributo all’arte tedesca da parte dei “non ariani”. Al di là delle ragioni assurde dell’ideologia totalitaria, il risultato evidente è stato un impoveimento del panorama musicale germanico, privato della possibilità di ascoltare la musica di artisti come Felix Mendelssohn (per fortuna sua, già morto all’epoca degli eventi), Gustav Mahler o Franz Lehár (il compositore ungherese de La vedova allegra, colpevole di aver sposato un’ebrea). Solo per citare qualche nome noto: la lista dei musicisti, dei cantanti, degli interpreti è lunga.
A questo tema, il musicista e saggista Nicola Montenz dedica il libro “L’armonia delle tenebre” (Archinto, 16 euro) che ricostruisce puntualmente l’epurazione dei musicisti non ariani e della loro produzione, avvenuta già a partire dall’ascesa del nazismo. E coincisa con l’emergere di volenterosi tedeschi, pronti a far carriera al posto dei musicisti ebrei allontanati dai loro posti di lavoro, senza il minimo scrupolo.
Nessuno si oppose alla follia nazista? Sì, qualche voce di protesta si levò. Anche all’estero: Montenz ricorda la vicenda del primo Festival di Bayreuth dell’era nazista, nel 1933, che avrebbe diovuto vedere sul podio Arturo Toscanini. Il maestro, insieme a un gruppo di ciolleghi, inviò a Hitler un telegramma in cui lo invitava a porre termine alla persecuzione dei colleghi, per ragioni politiche o religiose. Malgrado i tentativi di Winifred Wagner per convincere Toscanini a venire in Germania, il maestro rinuncò al suo ingaggio a Bayreuth, dando un segnale forte – ma purtroppo solo simbolico, a cui nulla seguì – al regime.
Si opposero sicuramente anche i coniugi di musicisti non ariani (su questa protesta, più in generale, fondamentale il film Rosenstrasse di Margarethe von Trotta).
La soprano Frida Leider, famosa nei panni dell’eroina wagneriana Bruennhilde, che rimase al fianco del marito, il violinista Rudolf Deman, malgrado gli attacchi violenti della stampa, che la invitavano a separarsi. Al suo ostinato rifiuto, Leider fu associata agli ebrei e attaccata, finché fu costretta a riparare in Svizzera.
Il saggio di Montenz tocca anche nomi celebri di direttori d’orchestra tedeschi come Herbert von Karajan (allora giovanissimo), Richard Strauss e Wilhelm Furtwängler, che ebbero un rapporto spesso controverso con il regime. Nessuno di loro, infatti, arrivò a un gesto di rottura come quello di Fritz Busch, l’arianissimo direttore d’orchestra pacifista, che si oppose a inserire elementi filonazisti fra i suoi musicisti e che fu sempre critico nei confronti delle persecuzioni di colleghi ebrei di talento. Busch fu costretto a dimettersi nel 1933 e non esitò, a difesa delle sue idee, a prendere la via dell’esilio.