FLOWERS OF WAR: il film di Zhang Yimou sul massacro di Nanchino
La Cina fa i conti con il proprio passato e riscopre il suo orgoglio. Anche di grande potenza ferita –come accadde durante la Seconda guerra mondiale – per proclamare il proprio eroismo.
Il massacro di Nanchino sembra avviarsi a diventare l’Olocausto dei cinesi. Negli ultimi tempi, caduto il tabù sul passato imperialista, la Cina mette sull’altare della patria le proprie vittime. In questa direzione va il nuovo film del regista Zhang Yimou, intitolato“Flowers of War”, nelle sale cinesi dal prossimo fine settimana e nel corso di dicembre distribuito anche negli Usa.
Vista la notorietà internazionale del regista e del protagonista principale (l’attore inglese Christian Bale), c’è già odore di candidatura agli Oscar.
La storia è quella nota, relativa al massacro perpetrato dalle truppe imperiali giapponesi ai danni della popolazione civile cinese nel 1937 a Nanchino. Al tema sono stati dedicati un paio di film occidentali (“John Rabe” di Florian Gallenberger e “Nanking” di Bill Guttentag e Dan Sturman) e il più recente cinese “City of life and death” di Lu Chuan. Cambiano i punti di vista, che spaziano dal ruolo svolto dagli occidentali loro malgrado coinvolti e dall’immagine dei militari giapponesi.
Zhang Yimou sceglie un punto di vista femminile: il finto prete Christian Bale salva un gruppo di scolarette inermi dalla violenza sessuale e dal massacro con l’aiuto di 13 prostitute cinesi. E racconta la storia dal punto di vista delle donne, che rischiano e vivono lo stupro. L’annientamento del loro corpo, oltre a quello della loro città, è raccontato senza risparmio di mezzi da Zhang Yimou (90 milioni di dollari).
“Flowers of War” è stato tacciato di nazionalismo e di sentimenti anti-giapponesi. Ho visto solo il trailer, quindi giudicare è difficile. Ricordiamo che Lu Chuan era stato criticato esattamente per il motivo opposto, quello di essere stato troppo morbido con i giapponesi, di aver riconosciuto loro un volto umano.
Christian Bale ha difeso il lavoro di Zhang Yimou dall’accusa di essere un film propagandistico cinese. “È piuttosto un film sugli esseri umani e sulle loro reazioni nei momenti critici”, ha dichiarato. Personalmente ho trovato curioso che Bale – lanciato proprio dal ruolo del ragazzino protagonista di “L’impero del sole” (1987) di Spielberg, ambientato proprio nella Cina in guerra – sia tornato sui suoi passi per interpretare di nuovo uno straniero coinvolto nello stesso conflitto, stavolta da adulto. Sicuramente l’ingaggio sarà stato cospicuo e interessante.
Resta il fatto che raccontare un tema così delicato come il massacro di Nanchino è sempre rischioso. L’approccio nazionalistico impone una divisione buoni-cattivi, mentre la realtà dei fatti è stata, con tutta probabilità, più densa di zone d’ombra. Per quanto ligi agli ordini superiori, esattamente come i tedeschi, anche i giapponesi avranno avuto qualche momento di dubbio sau quanto stavano facendo. Impossibile pensare che tutti, proprio tutti, fossero dei feroci assassini, emotivamente anestetizzati.
Benché colpevoli di non aver mai ammesso il proprio crimine – e su questo punto, hanno ragione i cinesi – anche i giapponesi nel tempo hanno cercato di dare di sé un’immagine più umana. Il film giapponese “Yamamoto Isoroku” (interpretato dal grande attore Koji Yakusho), per esempio, dipinge l’ammiraglio artefice dell’attacco di Pearl Harbor come un uomo tormentato dal dubbio sulla guerra e desideroso di un esito veloce, per poterla chiudere rapidamente.