DIANA VREELAND: un docufilm dedicato alla sua vita al cinema
“Che ci faccio qui?”, mi sono domandata mentre si spegnevano le luci, all’anteprima stampa del docufilm Diana Vreeland – L’imperatrice della moda di Lisa Immordino Vreeland, che esce oggi, 6 dicembre, in sala.
Già, chi mi conosce sa che sono un’appassionata lettrice di biografie di figure femminili speciali – e anche maschili, adoro le biografie tout court, se il personaggio mi interessa – ma le maîtresse-à-penser del mondo della moda non mi hanno mai suscitato un interesse irrefrenabile…
Nel maggio scorso, tuttavia, mi sono casualmente imbattuta in Emilie Floege, grande amica di Gustav Klimt, una donna che attraverso la moda aveva trovato una modalità espressiva della sua creatività in un’epoca in cui alle donne ben poco era concesso dalla società… Quindi, mi sono detta, diamo una chance anche all’illustre Vreeland: potrebbe riservare sorprese.
E così è stato. Diana Vreeland, direttrice mitica di Harper’s Bazar e di Vogue America, era senza ombra di dubbio una donna eccentrica, autoritaria, narcisista ma anche geniale. Con un’energia vitale spettacolare. Una donna che ha accettato di rimettersi in gioco a 70 anni, dopo essere stata licenziata, con un incarico museale al Costume Institute del Metropolitan Museum, portando idee innovative in un settore in cui non aveva mai lavorato. Questa è genialità pura.
Con tutti gli indubbi vantaggi di chi esce da un contesto sociale agiato e con le conoscenze giuste – non guastava allora, e non guasta adesso – Diana Vreeland era il brutto anatroccolo di famiglia. Fu una donna sofisticata ed elegante ma la bellezza che le mancava (mentre la sorella e la madre erano stupende) fu in qualche modo lo sprone a combattere nell’arena della vita per diventare qualcuno.
Il docufilm di Immordino – che ha sposato uno dei suoi nipoti, ma non l’ha mai conosciuta personalmente – ha il pregio di delineare anche il profilo psicologico della grande giornalista di moda. Non si limita a raccontarci che scoprì Twiggy, lanciò Cher, Lauren Bacall e Marisa Berenson, contribuì alla notorietà di Diane von Fuerstenberg e consigliò Jackie Kennedy… Diana fu anche figlia, poi moglie e madre assente, fagocitata dalla passione per il lavoro, ma sostenuta da un compagno amorevole, che la apprezzava anche per il suo impegno professionale, in anni in cui era già tanto se le mogli potevano lavorare, e la carriera era ancora un concetto sconosciuto.
“A scuola non ho imparato niente, la mia scuola era il mondo”, dice Diana. E che mondo! La Parigi degli anni Venti e Trenta, l’élite newyorkese in cui fu accolta quando scappò dall’Europa per via della guerra, la Swinging London negli anni Sessanta…
Su Adolf Hitler, che riuscì a vedere di persona prima di andare negli Stati Uniti, l’impetuosa Vreeland commentò: “Quei baffi erano ridicoli, assurdi, improponibili!”. Condensando in un commento estetico il disprezzo per il dittatore che molti provavano e non osavano esprimere.
Questo docufilm merita di essere visto: può essere interessante anche per chi non è particolarmente appassionato di moda, perché attraverso la vita di Diana Vreeland realizza uno spaccato nella Storia del Novecento.
“Non dare ai lettori ciò che vogliono, ma ciò che ancora non sanno di volere“, disse Vreeland. Grande esperta di moda, ma anche grande giornalista.
PS: se ve lo perdete, nella primavera 2013 sarà distribuito in Home Video da Feltrinelli Real Cinema.