BIANCANEVE, viaggio nell’anima nera di una donna

Si legge tutto d’un fiato questo noir di Marina Visentin. Protagonista e io narrante è una donnaqualunque, con una vita apparentemente banale. Una che si lascia trascinare dalla corrente, ma anela – come tutti – a conquistare il suo spicchio di felicità. La sorte la mette di fronte a un dilemma capitale. Passo per passo, si segue il suo percorso interiore che la conduce a scegliere elaborando i concetti di bene e di male attraverso il filtro della pura soggettività. Fra l’uomo qualunque, l’eroe e il mostro il passo è breve, più di quanto si pensi.

All’autrice, che è anche giornalista e critica cinematografica, abbiamo posto tre domande sul libro.

Biancaneve: chi è?
Una donna che ha scelto l’oscurità, perché ha paura della luce, perché non si sente degna di vivere nella luce. Nata vittima, ma non per questo innocente, ha deciso di passare la sua vita all’interno di un cono d’ombra, giocando di rimessa alle spalle dell’amica più bella o dell’uomo più forte. Una donna sgradevole, passiva, inerte, cattiva, con la quale è difficile solidarizzare, apparentemente impossibile identificarsi. Ma il suo volto candido, incorniciato di lunghi capelli neri, proprio come la Biancaneve della fiaba, è uno specchio scuro che riflette più di quello che vorremmo. Le nostre paure, le insicurezze, le angosce, le emozioni nere, il buio dei sentimenti che potrebbe trascinare verso l’abisso chiunque di noi.

Cosa ti ha spinta a indagare nella psiche femminile, in quelle dinamiche che a volte rendono una persona nel contempo vittima, complice e carnefice?
Il tema che mi interessava affrontare era quello della violenza. La violenza che tante, troppe donne, subiscono ogni giorno in Italia. E quasi sempre non a opera di uno sconosciuto, ma dell’uomo che hanno sposato, con il quale hanno deciso di vivere e di mettere al mondo dei figli. È una vera e propria strage quotidiana, che solo di rado raggiunge l’onore delle prime pagine dei giornali. Donne uccise da mariti, fidanzati, fratelli, padri… che naturalmente vengono poi descritti da parenti e vicini di casa come uomini tranquilli, normali, insospettabili! In questi casi di solito si parla di raptus di follia, ma chi si occupa professionalmente di violenza domestica sa molto bene che molto spesso non è affatto così. Nella maggior parte dei casi, il cosiddetto raptus arriva dopo anni di violenza fra le mura di casa, e di indifferenza da parte di tutti quelli che vivono intorno a quelle mura. Però anche di complicità da parte delle donne che quella violenza non denunciano.Ecco, a me non interessava tanto parlare della cattiveria degli uomini che esercitano la violenza ma della complicità  delle donne che quella violenza la subiscono, senza denunciarla, senza ribellarsi, senza andarsene sbattendo la porta. Volevo indagare il fondo nero dell’animo femminile, fatto di inerzia, di passività, di gabbie mentali che spesso possono costringere addirittura più di un burqa.

Perché  hai deciso di ambientare la storia a Milano?
Per la verità, la prima stesura del mio romanzo non era ambientata da nessuna parte. Era una pièce teatrale in stile “porte chiuse”. Tre personaggi, una vicenda che si svolge solo in interni, una descrizione accurata, al limite del maniacale, di tutto ciò che c’è dentro, in termini di psicologia, di paure, di ossessioni. E fuori quasi nulla, neppure uno squarcio di cielo o un albero rinsecchito. Poi, quando ho ripreso in mano il libro a distanza di qualche tempo, mi sono detta che dovevo cercare di far agire di più i miei personaggi, immaginando quello che poteva essere il loro rapporto con lo spazio circostante, quindi con la città. A quel punto ho pensato che Milano poteva essere lo sfondo perfetto per la storia di violenza e di degrado morale che volevo raccontare.

Il libro: Biancaneve, di Marina Visentin. Todaro Editore, € 15

 

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