I miei preferiti dal Far East Film Festival 13 – THE PIANO IN A FACTORY
The Piano in a Factory di Zhang Meng è sicuramente un film-rivelazione, un perla che si distingue dalle tante proposte commerciali di cui inizia a essere pieno il mercato cinematografico cinese.
Siamo negli anni Ottanta, nel periodo pre Tien An Men e soprattutto antecedente al boom economico dell’ultimo decennio. La Cina di provincia è povera, operaia, ma non più proletaria (la politica del figli unico è ferrea). Fabbriche e villaggi sono luoghi squallidi, illuminati solo dall’allegria e dalla voglia di vivere del popolo cinese, che sta tentando di affrancarsi dal passato verso un futuro più roseo.
Chen Guilin è un musicista e ha lavorato per anni nell’acciaieria che ormai è sul punto di chiudere. Ha una figlia che adora, che studia il pianoforte, e sogna per lei un futuro di successi musicali. Anche la moglie nutre grandi speranze per la bambina, ma ha mollato il marito operaio per mettersi con un medico coinvolto nella lucrosa contraffazione dei farmaci.
Come in tutte le coppie sull’orlo del divorzio, scatta una guerra per conquistare l’affetto della piccola e averla con sé. La madre, con i soldi del nuovo compagno, è la più avvantaggiata: può offrirle persino un pianoforte, assecondando il sogno della bambina.
Chen Guilin non si dà per vinto. Con un’allegra compagnia di amici della banda musicale e della fabbrica, si butta anima e corpo nell’impresa di costruire da zero un pianoforte, seguendo un vecchio manuale russo, nel tentativo di conquistare il cuore dell’unica figlia. Inizia così un’avventura rocambolesca e improbabile, che ha il pregio di mostrarci il valore della solidarietà e dell’amicizia che ha sempre unito il popolo cinese che nei momenti peggiori.
Chen Guilin perderà la sfida con la moglie, per amore della figlia, quando capisce che la madre può offrire alla piccola una vita migliore. Ma commuove lo sforzo disperato per realizzare il piano, usando materiali di scarto accumulati negli anni nella vecchia acciaieria.
Il tutto è accompagnato da una colonna sonora che da sola vale il film. Musica cinese tradizionale e melodie russe, che si sposano benissimo con il periodo storico e regalano al film un’atmosfera che richiama vagamente Kusturica. Una chicca: verso la fine del film, i nostri eroi tolgono dallo stampo la struttura metallica del piano (non avevano legno adatto!) con il sottofondo musicale struggente della canzone popolare macedone Jovano Jovanke, una melodia divenuta celebre ai tempi della prima guerra mondiale.
Un film nostalgico e tenero, scanzonato e divertente, che si meriterebbe un distributore.