SONAM SHERPA di Jean-Michel Asselin

Tempo fa, mi sono imbattuta in un libro che ho avuto il tempo di leggere solo adesso. Si intitola Sonam Sherpa, è scritto dall’alpinista e giornalista francese Jean-Michel Asselin ed è pubblicato in Italia da Corbaccio, che oltre a romanzi molto commerciali pubblica anche qualche libro sulla montagna, di solito interessante.

Sonam Sherpa è il nome di un signore nepalese sulla cinquantina, titolare dell’agenzia Thamserku Trekking, una realtà importante che dà lavoro a 1700 persone. Eccolo, in un’immagine trovata in rete che lo ritrae in Bhutan, con il Tiger’s Nest sullo sfondo.

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Asselin è suo amico da molti anni, e ha voluto dedicargli un libro che non è una biografia, né esattamente un’intervista. È quasi un diario, il cui obiettivo non è il racconto della conquista di una vetta, ma di una serie di conversazioni con Sonam, per farsi narrare la sua vita. Il risultato può essere discutibile a tratti dal punto di vista narrativo, ma il libro ha il pregio di parlare di quest’uomo singolare che, con i suoi fratelli, partendo da una valle povera dell’Himalaya, è riuscito a diventare un imprenditore di successo.

Due riflessioni interessanti e veloci.

Primo, l’uso del termine sherpa che noi facciamo è assolutamente improprio. Non significa portatore, come qualcuno può immaginare. Sonam, che di cognome fa Sherpa, spiega che si tratta di un’etnia himalayana, che non è imparentata con i tibetani. L’etimologia esatta della parola è “popolo dell’est”. Sono genti che da secoli attraversano queste montagne, valicando passi impervi con lo stesso spirito con cui noi andiamo a fare una passeggiata sulle Prealpi lombarde. Sono per lo più buddhisti Gelugpa (mentre i tibetani sono Nyingmapa).

Secondo. Questi coraggiosi montanari da decenni si sono inventati un lavoro di alpinisti e guide per portare gli occidentali in vetta agli Ottomila. In tanti ci hanno rimesso la vita, a volte anche per salvare i loro clienti. E sono d’accordo con Sonam quando dice che è assolutamente sbagliato annoverare tra i conquistatori delle cime solo gli occidentali. In vetta ci sono arrivati anche loro.

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Dal sito di Thamserku Trekking

In cima all’Everest ci arrivato per primo Edmund Hillary, ma non era solo. Con lui c’era Tenzing Norgay. Sonam cita un aneddoto: Hillary gli chiese di scattargli una foto in vetta, ma Tenzing sbagliò e inquadrò se stesso. Così esistono solo foto di Norgay come primo uomo in vetta sull’Everest e non di Hillary! Non so se questa storia sia vera, ma in effetti una foto di Hillary in vetta da solo non l’ho trovata (se qualcuno la trovasse, me lo segnali!)

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Photo by © arch. E. Hillary
29 maggio 1953 Tenzing Norgay in vetta all’Everest ripreso da Sir Edmund Hillary.

La storia di Sonam Sherpa mi è piaciuta, perché sfata una serie di luoghi comuni. Inclusi i pregiudizi eurocentrici e occidentali, più in generale, sullo spirito d’avventura, sulla lealtà in montagna, sulle capacità imprenditoriali e sulla voglia di misurarsi con nuove sfide. Sonam Sherpa ha capito dove c’era spazio per costruire un business, ha imparato il francese per interagire con i suoi clienti, ha viaggiato in giro per il mondo imparando le tecniche usate dagli altri sul lavoro… Ha perso la moglie e un fratello in montagna, ma continua ad amarla e a rispettarla. E se molti alpinisti realizzano il loro sogno di scalare una vetta himalayana, è grazie a persone come lui e i suoi collaboratori che facilitano l’impresa. Forse i veri campioni della montagna, gli sportivi con un fisico che resiste a qualsiasi fatica, sono proprio loro.

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Tempio buddhista, dal sito Thamserku Trekking.

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