THE KAISER’S HOLOCAUST: il genocidio tedesco in Africa

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Tempo fa, in una libreria di un aeroporto che non ricordo, mi sono imbattuta in questo libro, The Kaiser’s Holocaust (edito da Faber and Faber, London, 2010),  che ho comprato. E’ stata una delle mie letture dell’estate di quest’anno, e mi ha accompagnata nella mia unica settimana di vacanza. Decisamente non è una lettura da ombrellone, ma mi ha dischiuso un mondo. Per quanto possa suonare insolito, visto l’argomento, questo saggio mi ha ammaliata e risucchiata nella lettura. Per il desiderio di conoscere e capire.

David Olusoga, storico anglo nigeriano e produttore televisivo, è un esperto di storia coloniale. Casper W. Erichsen, danese, si è laureato all’università della Namibia, con una ricerca sul genocidio dei Nama e degli Herero. Insieme hanno realizzato questo libro, che racconta un capitolo infame della storia coloniale europea: la creazione della colonia dell’Africa tedesca del Sud Ovest, nel territorio dell’attuale Namibia, attraverso un’operazione di “svuotamento” dei suoi abitanti, in particolare le popolazione dei Nama e degli Herero. Niente di nuovo, direte voi: la storia coloniale è piena di sorprusi, di sfruttamento delle risorse altrui, di maltrattamenti ai danni delle popolazioni autoctone. Lo hanno fatto gli inglesi, i francesi, i portoghesi, gli spagnoli, gli italiani… Così pensavo anch’io riguardo a quest’angolo di Africa, prima di leggere The Kaiser’s Holocaust.

Una donna Nama.
Una donna Nama.

E invece, The Kaiser’s Holocaust racconta una storia ancor più atroce. Sull’onda del Darwinismo sociale imperante verso la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, i coloni tedeschi si sono sentiti legittimati a sterminare due popolazioni, i Nama e gli Herero, che avevano avuto la sfortuna di occupare le terre più fertili e quindi più adatte alla colonizzazione dell’attuale Namibia. Bisognava toglierli di mezzo, per far spazio alle fattorie tedesche. All’epoca, la popolazione tedesca era in piena crescita demografica; nelle periferie delle grandi città si formavano slum sovrappopolati da famiglie che lasciavano le campagne per cercare fortuna. Questa gente aveva bisogno di nuovo spazio, spazio vitale, o Lebensraum. L’Africa era la nuova frontiera: la Germania guglielmina necessitava di un impero.

Il Darwinismo sociale, che fornì una base culturale anche al nazismo, in seguito, proclamava un semplice principio: i forti vincono sui più deboli. Così le razze superiori, quella bianca e ariana in primis, aveva diritto di eliminare i neri, razzialmente inferiori. A sostegno di questa visione, c’era un florilegio di studi e pubblicistica che presentavano i neri di quest’angolo d’Africa come selvaggi, violenti, incivili.

Chi erano gli Herero e i Nama? L’esatto contrario di quest’immagine. Erano popoli dediti alla pastorizia, divisi in clan legati fra di loro, nomadi per motivi di pascolo dei loro animali. Erano giunti in contatto con i Boeri e si erano convertiti al cristianesimo. I loro capi li avevano spinti ad adottare un abbigliamento europeo. Hendrik Witbooi (1830-1905), capo storico dei Nama ed eroe nazionale, parlava e scriveva correntemente in olandese. Ed era in grado di farsi una sua opinione sui tedeschi – prima suoi alleati contro gli Herero, poi nemici –  leggendo i giornali europei.

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Hendrik Witbooi.

I generali tedeschi di epoca guglielmina, insieme alle forze locali dei coloni,  inaugurarono severe leggi razziali – che qualche decennio dopo ispirarono le leggi di Norimberga – e procedettero dalla guerra allo sterminio degli Herero, prima, e poi anche dei Nama. Nell’Africa tedesca del Sud Ovest – si scopre leggendo il libro di Olusoga ed Erichsen – fu inventato il concetto di Konzentrationslager (campo di concentramento), idea mutuata dagli inglesi e sviluppata dai tedeschi. La gente non veniva concentrata solo per lavorare: l’idea era quella di sterminarli con il lavoro, e con gli stenti. Uno dei luoghi più infami fu l’isola di Shark Island, dove il freddo, la fame e il lavoro forzato tra il 1905 e il 1907 uccisero circa 3000 persone.

Migliaia di Herero – i Nama erano ritenuti meno idonei al lavoro – sopratutto donne e bambini, contribuirono alla prosperità della colonia tedesca, costruendo ferrovie, fattorie, coltivando i campi, in veste di schiavi. Quanto accadde nell’Africa tedesca del Sud Ovest all’inizio del secolo prefigura gli orrori del nazismo: campi di sterminio, eliminazione attraverso il lavoro forzato, burocratizzazione delle uccisioni, vagoni bestiame usati per trasportare le persone, esperimenti pseudoscientifici sui corpi per suffragare le teorie di inferiorità razziale… Non sto a riportare numeri: fu genodicio, sistematico, e poco importa se a essere uccisi furono 3000 o 3 milioni di persone. La gravità e l’efferatezza sono identici.Il merito di The Kaiser’s Holocaust è l’evidenziazione dello stretto legame fra i crimini della colonia tedesca e la successiva storia nazista. Un legame nutrito da un humus culturale comune. È ammirevole che la ministra per la Cooperazione economica e lo sviluppo Heidemarie Wieczorek-Zeul, nel 2004 – in occasione del centenario del genocidio degli Herero – sia volata in Namibia e abbia ufficialmente chiesto scusa per il genocidio compiuto dall’allora generale von Trotha. Peccato che, come ricordano Olusoga e Erichsen, nessun accenno sia stato fatto ai campi di sterminio. E magari anche alla responsabilità della madrepatria tedesca. Il conflitto con gli Herero, e poi con i Nama, non si limitò a qualche scontro sanguinoso in armi, ma fu la scelta di cancellare sistematicamente una popolazione della faccia della terra namibiana. Fortunatamente, non ci sono riusciti. E i discendenti degli Herero e dei Nama vivono ancora in Namibia, finalmente liberi – solo dal 1990 – di rivendicare il diritto alla loro Storia e alla memoria.

Bambine di etnia Basters, nata dall'incrocio fra coloni olandesi e donne africane.
Bambine di etnia Basters, nata dall’incrocio fra coloni olandesi e donne africane.

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