IL RISTORANTE DELL’AMORE RITROVATO di Ito Ogawa

La casa editrice Neri Pozza spesso pubblica, con coraggio, autori giapponesi poco noti, almeno in Occidente. E credo che vada sostenuta in questo sforzo: senza Neri Pozza, non sarebbe uscita in Italia, per esempio, una grande autrice come Kirino Natsuo.

Qualche mese fa, ha pubblicato Il ristorante dell’amore ritrovato di Ito Ogawa, opera prima di una scrittrice giapponese nota soprattutto per la narrativa per ragazzi. Non ho resistito alla tentazione di leggerlo, per scoprire se eravamo di fronte a un nuovo talento…

La trama è semplice, quanto inverosimile in alcune sue parti. La 25enne Ringo, che lavora in un ristorante turco, viene mollata dal fidanzato indiano, che si porta via da casa tutto fino all’ultimo spillo (anche i vestiti di lei?? mah!). La ragazza resta afona per lo shock e torna al suo paese natio, dalla madre con la quale ha un pessimo rapporto… E reagisce a questa situazione aprendo un piccolo ristorante, “Il Lumachino”, dove ospiterà ogni sera solo una coppia…

L’idea è carina, anche se non del tutto nuova. Dieci anni fa circa, ho letto un paio di romanzi di Joanne Harris, e credo che anche Ito Ogawa li abbia letti, ponendosi come obiettivo di crearne una versione giapponese. Detto questo, lo spessore dei personaggi è molto nel mood nipponico attuale, da pennellate leggere alla Banana Yoshimoto. Ogawa vuole strizzare l’occhio al pubblico femminile, l’intento è molto chiaro. Per cui, oltre alla potenza salvifica e creatrice della cucina, aggiunge fra i suoi ingredienti la relazione madre-figlia, il rapporto nipote-nonna, l’amore tradito, l’amicizia con un compaesano che fa da surrogato paterno… Non manca il potere magico del cibo: quale donna non sognerebbe di preparare con le sue mani qualcosa che può indurre un cambiamento nelle persone?

Insomma, al di là del tema dell’originalità  (ma oggi chi può dire di esserlo veramente? Tutto è già stato detto e scritto…), Ogawa non si riscatta strada facendo, ma si ferma a un prodotto ben confezionato e commercialmente appetibile. Alcuni elementi (l’umanizzazione della relazione con il maiale, per esempio) paiono quasi favolistici, mentre gli sproloqui sul cibo biologico e sulle diverse varietà di ingredienti sembrano oscillare fra il desiderio di inseguire un tema modaiolo e uno sfoggio nozionistico interessante se si racconta un presidio Slow Food, un po’ meno se inserito in un romanzo.

Non aggiungo altro sul finale, per non guastare la sorpresa a chi lo volesse leggere. Non mi sorprende che questo prodotto editoriale patinato-sdolcinato sia diventato un bestseller un Giappone. Al punto da ricavarne un film, uscito nel febbraio scorso e intitolato, come il romanzo in giapponese, Shokudô Katatsumuri, diretto da Mai Tominaga, e con Kô Shibasaki (nella foto, di lato), nei panni della protagonista.

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