TIBET. UOMINI, DEMONI E DIVINITA’ al Museo Popoli e Culture del Pime di Milano

Tibet_pimeÈ piccola, ma straordinariamente interessante la mostra Tibet. Uomini, demoni e divinità inaugurata il 14 aprile scorso presso il Museo Popoli e Culture del Pime di Milano, e che resterà aperta fino al 28 giugno prossimo.

Una mostra che ci fa respirare l’aria rarefatta di Lhasa con i suoi monasteri, e soprattutto ci catapulta in un Tibet di altri tempi, dove la spiritualità pervadeva ogni gesto della vita quotidiana e la religione buddhista lamaista era elemento costitutivo dell’identità collettiva. L’occupazione cinese a partire dal 1951 e le devastazioni perpetrate dalla Rivoluzione Culturale hanno modificato il Tibet. Forse non l’anima dei suoi abitanti, ancora saldamente ancorati alla loro storia, alla religione e alla cultura che li differenziano dai cinesi han. Ma è innegabile che molti tesori artistici, legati per lo più alla sfera religiosa, sono scomparsi. Oggetti di culto, libri, monasteri, statue sono stati bruciati e distrutti. Si è salvato parte di quel patrimonio che aveva già prima imboccato la via dell’Occidente, raggiungendo istituzioni museali e collezionisti privati.

Si deve all’associazione Cultural Paths, che riunisce proprio collezionisti privati, se questa mostra – che presenta capolavori del Novecento ma anche di due o tre secoli fa – è stata è possibile. Una pregevole sezione è dedicata alla produzione di tappeti tibetani, in lana e cotone; un’altra parte è dedicata ai libri sacri, composti da singoli fogli impilati e custoditi da due assi di legno, impreziosite da decori, che fungono da copertina. Non mancano i pregiati thang-ka, i dipinti tibetani su stoffa, esposti nei monasteri o nelle abitazioni; interessanti statue di divinità buddhiste; magnifici gioielli in argento e turchese, pietra molto apprezzata dai tibetani.

Una vetrina davvero speciale è dedicata ai gau, i reliquiari buddhisti portatili, diffusi da secoli nell’area himalayana (li ho visti, identici, anche in Bhutan). Si tratta di una scatola di metallo, dove viene inserito un oggetto religioso, un effigie del Buddha, o un testo sacro, che il devoto porta sempre con sé. Non dimentichiamo che in quest’area è ancora forte la tradizione di avere un altare domestico, e chi si allontanava da casa – per esempio, un commerciante, per motivi di lavoro – era confortato dalla presenza del gau, che gli garantiva fortuna e protezione. Una testimonianza interessante della grande religiosità di questo popolo.

Nella foto qui sotto, un esempio moderno di gau miniaturizzato: l’idea del reliquiario trasformata in un piccolo ciondolo in argento, dalle mani di un artigiano nepalese. Niente a che vedere con gli splendidi esemplari esposti al museo, naturalmente, che hanno un valore storico e artistico, ma volevo rendere l’idea di come è fatto questo oggetto…

gau

Vi è venuta voglia di fare un viaggio nel tempo e nello spazio attraverso l’arte tibetana? La mostra è a Milano, in via Mosè Bianchi 94 (aperta lun-ven 9-12.30, 14-18, sabato 14-18).

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