UOMINI DI DIO di Xavier Beauvois
Vincitore del gran premio della giuria Cannes e candidato francese all’Oscar come migliore film straniero, esce oggi nelle sale Uomini di Dio (Des Hommes et des Dieux) di Xavier Beauvois, che racconta la storia dei monaci francesi di Tibhirine, in Algeria, trucidati da Gia nel 1996.
La trama: un piccolo gruppo di sette frati trappisti circercensi vive nell’entroterra algerino, in un paesaggio ai confini del deserto di una bellezza selvaggia, in cima a un’altura ai cui piedi sorge il villaggio di Tibhirine, interamente abitato da musulmani. La loro presenza è pacifica: non fanno proselitismo, naturalmente, ma si limitano a dare il loro messaggio di fratellanza vivendo in mezzo alla gente, curando gli abitanti gratuitamente nel piccolo studio medico del monastero e mantenendosi con il loro lavoro (l’orto, l’apicoltura, le erbe…). Nel 1991 il Fronte islamico popolare vince le elezioni, ma l’anno successivo un colpo di stato ell’esercito annulla il risultato elettorale e dissolve il Fis. Fra gli islamici messi al bando, prevalgono rabbia e aggressività. Gruppi di ribelli assaltano i villaggi, violentano le donne, uccidono senza ragione. L’esercito non è in grado di fronteggiare la situazione e il Paese piomba nel caos. A Natale del 1993, alla porta del convento bussano i guerrieri. Con il loro capo, un credente rispettoso del Corano, il priore fratello Christian riesce a dialogare. Non succede nulla, ma ai frati spaventati diventa chiaro che si tratta dell’inizio della fine. Se vorranno restare, ogni giorno sarà a rischio della loro vita…
Perché vederlo?
1- Per l’interesse storico della vicenda, per ricordare quegli anni di follia che sconvolsero l’Algeria. Anni in cui non solo i religiosi cristiani potevano essere un obiettivo, ma chiunque. E apparentemente senza motivo. Una violenza che ricorda molte guerre etniche e tribali ancora in corso, in cui spesso donne, bambini e vecchi sono bersaglio solo perché sono l’anello debole della società.
2- Il film è lento, in certi momenti davvero troppo. Tuttavia, rende molto bene l’atmosfera di tragedia imminente che grava sul monastero, malgrado gli ottimi rapporti con la gente del luogo. E presenta il conflitto interiore che travaglia gli animi dei monaci di fronte alla prospettiva della morte. Sono uomini di Dio, il loro operato è guidato dalla fede che li ha spinti a condividere la vita di questo luogo sperduto (dando loro l’illusione di poterlo quasi “proteggere”), ma sono anche esseri umani. Con paure e incertezze, e con un umanissimo desiderio di sopravvivenza. Faticosamente, sceglieranno di restare. Ma dopo 120 minuti di film, con l’amaro in bocca ci si domanda: a cosa è servito il loro sacrificio? Le vie della fede sono sempre costellate di martiri.
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