AGNUS DEI: gli stupri e la guerra

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Non è un caso che il film Agnus Dei sia stato diretto da una donna, Anne Fontaine. In tutta la storia, c’è la delicatezza femminile nel trattare un tema così orribile, come può essere la violenza sessuale perpetrata nei confronti di una comunità monastica di suore, che ha fatto della castità uno dei pilastri della sua scelta di vita e di fede.

La storia che Agnus Dei racconta è ispirata a vicende reali: nel 1945, la giovane Madeleine Pauliac, studentessa francese di medicina di famiglia comunista, è in Polonia con la Croce Rossa per curare le truppe quando viene contattata da una giovanissima novizia polacca che chiede il suo aiuto. La ragazza non vuole rivolgersi né ai medici russi, né ai polacchi. I primi sono i colpevoli di quanto è accaduto, i secondi non capirebbero e nascerebbe uno scandalo.

Come Madeleine scoprirà, il convento – situato in un luogo isolato in campagna – è stato assaltato per tre volte dalle truppe sovietiche e tutte le religiose sono state ripetutamente violentate. Alcune fra le più giovani di loro sono rimaste incinte, ma le suore vivono il loro dramma nel silenzio. Il mondo intero le condannerebbe – così pensa la madre superiora – la violenza subita è una colpa.

Madeleine le aiuterà: i bambini frutto della violenza vedranno la luce. E alcuni avranno la fortuna di sopravvivere.

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Questo emozionante film – lento, tragico e angosciante – mi ha scatenato una serie di riflessioni.

Come è più facile essere uomini! Anche da religiosi. Chi si sognerebbe di violentare un prete congolese? Eppure, alle suore, benché anziane, è successo, proprio in Africa, ricordate? Le donne – bambine, adolescenti, nubili o sposate, oppure consacrate a Dio – quando scatta l’anarchia del conflitto perdono la loro umanità per reificarsi in bottino di guerra. È evidente che anche gli uomini possono pagare con la vita le loro scelte (come il massacro dei monaci francesi in Algeria a Tibhirine, raccontato in un altro film). Ma i maschi raramente violano il corpo di altri maschi. Lo stupro è un’offesa – che spesso precede l’omicidio – ben più grave; è la negazione dell’umanità della donna, è umiliazione, è un’arma di guerra contro il nemico (violando la donna, in molte culture si intende colpire l’uomo nemico). Nel conflitto in Bosnia, tanto per ricordare uno degli infiniti casi, si uccidevano gli uomini e si violentavano le donne finché rimanevano incinte, perché procreassero figli portatori dei propri geni, annientando l’etnia nemica. Già, perché i geni delle donne, in questa visione tribale e animalesca, non contano nulla.

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I sovietici, benché duramente provati dalla violenza nazista, quando avanzano in territorio nemico non esitano a “vendicarsi” sulle donne. Gli stupri di donne tedesche (come racconta il libro Una donna a Berlino) sono la norma. Le suore polacche – cattoliche, quindi nemiche perfette – sono le vittime ideali: indifese in una situazione di caos, sono l’Agnus Dei, l’agnello sacrificale su cui sfogare i più bassi istinti. Mathilde si salva per un pelo da un gruppo di soldati sovietici ubriachi che la fermano a un posto di blocco. È la guerra, certo, ma io la leggo anche come una dichiarazione di sconfitta per l’Uomo Nuovo che il comunismo voleva costruire. L’Homo Sovieticus è animalesco come chi l’ha preceduto, quando fra le sue vene scorre la vodka.

Come reagire alla violenza? Negare e insabbiare, come vorrebbe la madre badessa, arrivando ad annientare il frutto della violenza, per fingere che nulla è accaduto? È un bel dilemma. Al di là della crisi esistenziale e di fede che queste donne attraversano – perché Dio che è amore ha consentito che ciò accadesse?, molte si domandano – le protagoniste di Agnus Dei sono suore, e donne. Qualcuna odia la creatura che ha in grembo, altre scoprono una forma nuova d’amore, che riesce a superare la violenza: l’amore per la vita, per una creatura che rimane innocente, anche se ha per metà il patrimonio genetico di un violentatore.

È il grande mistero della maternità, che difficilmente un uomo può cogliere appieno. Fra madre e feto si crea un legame indissolubile, viscerale, intimo che può superare l’odio. È questa la riflessione più importante a cui mi ha condotta Agnus Dei. È questo il motivo per cui, se il mondo fosse in mano alle donne, che sono tutte potenzialmente madri, conosceremmo meno guerre, meno violenza.

Stupendi i volti delle attrici polacche di Agnus Dei che interpretano suore e novizie: sembrano delle Madonne.

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